Cultura e Spettacoli

EUROPA Alle radici del nostro destino

Lo shock provocato dal referendum francese continua a inquietarci e a sollecitare domande sulla possibilità che ancora ha il nostro continente di realizzare una autentica unificazione politica, oltre che economico-monetaria. E nell’ampio dibattito un posto autorevole ha assunto la conferenza di George Steiner tenuta al Nexus Institute di Amsterdam, che ora esce in italiano in una elegante quanto sciatta edizione per i tipi di Garzanti. La sciatteria è già nel titolo: l’originale The Idea of Europe viene, più che tradotto, interpretato con Una certa idea di Europa (traduzione di Oliviero Ponte di Pino, pagg. 63, euro 10, con una breve introduzione di Mario Vargas Llosa tradotta da S. Cherchi), assai civettuolo, ma poco fedele. Ma i guasti dell’editing sono ancora più vasti: a pag. 15 una frase del Faust viene tradotta ripetendo una precedente affermazione di Mann, che non c’entra nulla, mentre il titolo di una celebre poesia di Rilke, Arcaico torso di Apollo, risulta «Antico busto» e altre amene sviste minori.
Ma la lettura del testo redime da simile frettolosità. Il discorso di Steiner si dipana in un intrigante quanto insolito approccio con una inedita fenomenologia della civiltà europea che per l’autore parte da quei luoghi sacri alla creazione artistica, intellettuale, politica e letteraria che sono i caffè: caffè di Parigi, Berlino, Vienna, Praga, Firenze, in cui gli uomini di Europa dall’età dell’illuminismo ad oggi si sono incontrati e che hanno trasformato in straordinari laboratori dello spirito. Impensabile sarebbe il fin-de-siècle parigino o viennese senza i caffè, così come è noto che il riservatissimo Franz Kafka trascorreva lunghe serate al Café Arco con i suoi amici più intimi, ribattezzati «gli Arconauti». E ancor oggi le più affascinanti pagine di Claudio Magris sono state scritte al Caffè San Marco di via Battisti a Trieste, mentre anche a Roma e a Napoli si riaprono caffè storici o se ne inaugurano dei nuovi. È la risposta ai fast-foods, e alla cultura della fretta americana.
E un altro segnale dello stile di vita europea è il camminare, la civiltà del flâneur, quella che deriva dalle comunità peripatetiche dei filosofi ateniesi per giungere ai nostri giorni, resistendo alla civiltà dell’auto. Legata alla passeggiata, cui Schiller dedicò un’ode stupenda, è anche la topografia delle città europee, dove non si conosce l’algida catalogazione per lettere o per numeri, bensì le strade e le piazze ricevono i nomi dei principali poeti, musicisti, artisti e patrioti. Questa vecchia Europa carica di memorie, quasi sopraffatta di storia, si raccorda con una pietas esemplare alle sue due radici: Atene e Gerusalemme, la filosofia e la religione ebraica, così pervasa dalla spiritualità mediterranea degli egizi e degli assiro-babilonesi, come avevano intuito Sigmund Freud e Thomas Mann nelle loro interpretazioni della figura di Mosé.
Il portato di questa duplice matrice dell’identità europea contribuisce alla configurazione del quinto connotato della nostra civiltà: quel sentimento malinconico, struggente, pervasivo della fine della civiltà, del compimento della storia, che in termini scientifici potremmo incontrare nel principio dell’entropia, mentre l’irrazionalismo di primo Novecento aveva celebrato le sue liturgie artistico-intellettuali con lo spengleriano «tramonto dell’Occidente» o con la «morte della civiltà» di Valéry o nella malinconia ironica e definitiva di Ulrich, l’«uomo senza qualità», che è probabilmente l’espressione più compiuta di un’antropologia dell’ultimo europeo, come l’aveva intuita Nietzsche. E tale ironica visitazione dell’apocalissi risorge nella saggistica di Steiner, che in ciò è profondamente «europeo», anzi mitteleuropeo, come ormai solo chi ha lungamente vissuto in America può ancora essere, consapevole di un immenso patrimonio che noi europei dissipiamo stupidamente.
E allora il saggio steineriano si trasforma in una magna charta della resistenza europea. Siamo cresciuti abbastanza per sapere che non sarà una delibera di un senato accademico (è capitato a Roma Tre) a fermare la marcia trionfale della Coca-Cola, né i buoni propositi dei no global a bloccare i processi della disintegrazione delle varie economie nazionali. Ma senza erigere inutili barricate, la dignità dell’uomo europeo può ancora risultare una forza viva e una ingente presenza nella modernità. E spesso è proprio chi questa civiltà non l’ha immediatamente goduta, a volerla difendere e a proclamarne la superiorità e ad avvertirne l’esigenza.
Nella prefazione al libro, Mario Vargas Llosa si dissocia da una vena di pessimismo steineriano proprio sul punto delle capacità reattive della civiltà europea, assediata dall’americanizzazione e dalla globalizzazione. Tuttavia è più di un secolo che si ragiona e si argomenta sulla crisi della nostra civiltà, la quale, ancorché malandata, sembra animata da una indomita forza di resistenza agli assalti d’Oltreoceano. Indimenticabili sono le lettere da Muzot che Rilke scriveva avvertendo le insidie della civiltà americana, che continua a minacciarci, mentre noi continuiamo a frequentare i nostri caffè, a passeggiare per Rue Lafontaine, Place Victor Hugo, Goethestrasse, Schillerplatz o via Leopardi, via Boiardo e Piazza Dante. Lo stesso tramonto è una dimensione mistica e ironica che sostiene i più avvertiti europei in un impegno etico che si eleva a quella spiritualità che sempre ha consacrato l’élite culturale.
Certo, come scrive Vargas Llosa: «L’arte di Mallarmé, come tutto ciò che le somiglia, non può arrivare a tutti gli abitanti della polis senza snaturarsi». La natura minoritaria e aristocratica della cultura trova finalmente nelle pagine di Steiner una investitura che mutua la sua forza estrema in una straordinaria polemica, a proposito della concezione della «aristocrazia dello spirito», proclamata da Max Weber nella celebre conferenza di Monaco del 1918 su La scienza come professione. Steiner osserva ironicamente che allora «l’abietta rubrica del “politicamente corretto” non era ancora stata compilata», segnando nitidamente i confini tra il necessario sistema politico della democrazia parlamentare e l’improrogabile, irreversibile e prezioso carattere elitario della cultura.
Si è fatta troppa confusione tra politica e cultura e questo saggio fa chiarezza tra queste due sfere.

Per Steiner solamente consolidando la prospettiva dell’identità culturale l’Europa potrà riprendersi e riprendere quella funzione «cruciale» che ha caratterizzato il suo percorso nella storia del mondo, conciliando Atene con Gerusalemme e ritrovando - o almeno cercando di ritrovare - quella insostituibile radice ebraica che costituisce la quintessenza sacra dell’identità europea.

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