Europa

"È una decisione contro il nostro paese ci sono altre vie per ridurre le emissioni"

Il viceministro all’Ambiente: "Servirebbe gradualità invece l’Europa mantiene un approccio ideologico. A rischio 120mila posti di lavoro"

"È una decisione contro il nostro paese ci sono altre vie per ridurre le emissioni"

Non ci gira intorno: «È una decisione contro l’Italia». Vannia Gava, viceministro dell’Ambiente, non nasconde la sua delusione: «L’Europa continua con queste politiche energetiche a senso unico e irragionevoli che il centrodestra e la Lega, il mio partito, contrasteranno in tutti modi».

Che cosa è che non va bene in questa decisione?
«Tutto; qui servirebbe un approccio graduale che accompagni la transizione e invece con questo diktat si soffoca la nostra industria: l’automotive tricolore vale 120mila posti di lavoro e poi c’è l’indotto. Di fatto lì si mette spalle al muro, perché, parliamoci chiaro, il 2035 è domani. Ma tutto il modo di procedere della Ue è, e mi dispiace dirlo, ideologico. Perché non ci si apre a un ventaglio di soluzioni invece di puntare solo e soltanto sull’elettrico? L’elettrico non è un dogma, e invece si chiude ogni altra strada che pure sarebbe utile per tagliare le emissioni».

A cosa si riferisce?
«Quando parlo di approccio graduale non intendo eludere il problema, ma si può, si potrebbe fare molto anche rimanendo nel mondo dei motori tradizionali.
Bisognerebbe spingere per togliere dalle strade gli Euro 3 e gli Euro 4, sostituendoli con Euro 6 e Euro 7. Già così avremmo un miglioramento molto importante che si potrebbe realizzare in tempi brevi».

Poi?
«Poi dobbiamo offrire risposte complementari. I biocarburanti sono un capitolo interessantissimo: il biometano è quasi pronto, poi, più in là, c’è l’idrogeno. È chiaro che così salta tutto ed è un vero peccato perché i biocarburanti ci portano sulla via della sostenibilità e della transizione ecologica ma sono anche un assist per il made in Italy».

L’elettrico ci consegnerà nelle mani della Cina?
«Certo, lo sappiamo, e non capisco questa ansia di correre in soccorso di Pechino. Abbiamo già sperimentato in questi mesi difficili la dipendenza sul gas dalla Russia, e come se niente fosse, ci apprestiamo a cedere la nostra sovranità energetica alla Cina.
Ma qualcuno ha fatto una riflessione serena su questo tema?
Non sto dicendo di no all’elettrico e non voglio promuovere crociate contro questo o quel Paese.
Sto semplicemente dicendo che dovremmo ragionare in modo pragmatico e tenendo conto di tutti i fattori in gioco, compreso il fattore tempo che ha la sua importanza, senza sposare in modo acritico il politically correct green».

Cosa farà in concreto il governo Meloni per arginare queste scelte?
«Noi andremo avanti in tutte le sedi e con tutti gli strumenti a disposizione per rallentare questo processo e per offrire altri percorsi che rispondono ai criteri della sostenibilità senza mettere ko il nostro Paese. Ci stiamo muovendo anche sull’elettrico, naturalmente, ma i passi si fanno un po’ alla volta: con il Pnrr arriveranno più di 20mila colonnine di ricarica nella nostra rete, ma ci vorranno tre anni, e non è realistico e nemmeno giusto costringere milioni di automobilisti a cambiare macchine, stili, comportamenti nel giro di poco tempo. Molti poi, per essere espliciti, non si possono permettere l’elettrico».

I prezzi scenderanno.
«Sì ma un po’ alla volta, e poi sarebbe davvero insensato azzerare il nostro tessuto produttivo sull’altare di una presunta purezza che non esiste. Certo, le auto elettriche inquinano meno di quelle con i motori tradizionali.
Questo però sulla strada».

Il paragone cambia se passiamo all’intero ciclo produttivo?
«Certo. Se iniziamo a considerare anche le batterie, per esempio, le certezze espresse dal voto di Strasburgo vacillano. E l’elettrico esce dalla nicchia di una perfezione che non c’è . Nessun anatema, ci mancherebbe, ma un confronto civile.

E tante proposte tutte insieme sul tavolo per salvaguardare il nostro Paese senza rinunciare agli obiettivi che ci chiede l’Europa».

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