Europa

Meloni "pontiere" con "l’amico Viktor": l’ingresso di Fidesz nei Conservatori Ecr e dieci miliardi in più

Prima un vertice a cinque, poi il bilaterale tra Orbán e la premier. Sul tavolo lo sblocco di altri fondi congelati dall'Ue

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Quando il cancelliere tedesco Olaf Scholz si sfila la giacca preferendogli un pullover per affrontare quella che immagina sarà «una lunga notte», il timore che si diffonde nelle delegazioni dei 27 è di essere a un passo da una vera e propria impasse. In verità, lo stallo è sulla revisione del bilancio Ue, mentre si sblocca piuttosto rapidamente il via libera ai negoziati di adesione all’Ue di Ucraina e Moldavia. Una decisione non proprio scontata, soprattutto per la ferma opposizione del premier ungherese Viktor Orban.
Che, invece, cede dopo una lunga giornata di trattative.

Il confronto si apre di prima mattina, dopo che Scholz, Emmanuel Macron e Giorgia Meloni si sono intrattenuti in una notte di bevute trilaterali al bar dell’hotel Amigo di Bruxelles. Prima sono Scholz, Macron, Ursula von der Leyen e Charles Michel, rispettivamente a capo della Commissione e del Consiglio Ue, ad incontrare il leader ungherese. Sul tavolo c’è il segnale distensivo lanciato solo 24 ore prima dall’esecutivo europeo, che mercoledì sera ha annunciato di aver sbloccato circa dieci miliardi dei cosiddetti fondi di coesione che erano stati congelati per il mancato rispetto delle norme sullo Stato di diritto.

Una mano tesa, nella speranza che Orban eviti di esercitare il potere di veto su un passaggio che i vertici delle istituzioni Ue considerano decisivo: dare il via libera ai negoziati di adesione dell’Ucraina all’Unione europea. Un passo che ha una valenza geopolitica di grande importanza, soprattutto in un momento in cui la causa di Kiev non sembra più essere tra le priorità dell’Occidente (e di Washington). Orban non chiude la porta e rilancia chiedendo flessibilità anche sui restanti 21 miliardi bloccati (che comprendono le rate del Pnrr), su cui i suoi interlocutori sono piuttosto disponibili.

Secondo i rumors, da Scholz e Macron sarebbe arrivata un’apertura di massima a scongelare il 50% della cifra, quindi ulteriori dieci miliardi (per un totale di venti). A questa riunione a cinque Meloni non partecipa, ma incontra il premier ungherese subito dopo in un bilaterale che - fanno sapere gli staff - è dedicato «ai temi in agenda al Consiglio Ue».
Una scelta, spiegano fonti diplomatiche italiane, concordata con il cancelliere tedesco e il presidente francese, per provare a muoversi secondo una strategia comune. Che alla fine, si legge in una nota di Palazzo Chigi, «porta un risultato di rilevante valore per l’Ue e per l’Italia».

La leader di Fdi, d’altra parte, ha un canale privilegiato con Orban, tanto che lo scorso 14 settembre era l’unico leader straniero presente al «Budapest demographic summit» sulla famiglia, un forum che dal 2015 si riunisce ogni due anni e che è stato fortemente voluto dal premier ungherese. Ma Meloni, probabilmente, ha potuto far leva anche sul fatto che Orban è da mesi molto attivo per portare il Fidesz all’interno del gruppo di Ecr. Da quando nel 2021 è uscito dal Ppe, infatti, i suoi tredici eurodeputati sono sostanzialmente diventati ininfluenti. Così, tramontata l’idea di fare da catalizzatore di una nuova alleanza di destra (già divisa tra il gruppo di Ecr e quello di Identità e democrazia), dopo le elezioni Europee di giugno Orban sembra ora deciso ad accasarsi. Una nuova legislatura nel limbo dell’irrilevanza non avrebbe alcun senso. E qualche mese fa, intervistato da Politico, Balazs Orban, braccio destro dell’omonimo premier, ha detto chiaramente che i Conservatori e riformisti sono «il normale spazio di atterraggio per Fidesz».

Eppure, nonostante la sintonia personale con Meloni e un ottimo rapporto con i polacchi del Pis (partito fondatore di Ecr insieme a Fdi), c’è soprattutto un fronte su cui Orban è davvero distante dai Conservatori: il suo rapporto con Mosca, che - ovviamente incide anche sul posizionamento dell’Ungheria rispetto all’Ucraina. Non un dettaglio, soprattutto perché Ecr ha fatto dell’atlantismo e delle posizioni antirusse uno dei suoi tratti distintivi, a differenza dell’altro gruppo dell’area di destra, Identità e democrazia (dove militano la Lega, i francesi del Rassemblement national e i tedeschi di Afd).

Insomma, per arrivare davvero a un ingresso di Fidesz in Ecr è necessaria una correzione di rotta. E, di certo, non è sufficiente il segnale mandato questa estate dalla presidente ungherese Katalin Novak che, in agosto, è stata a Kiev per incontrare Volodymyr Zelensky.

Soprattutto, porre il veto in sede di Consiglio europeo sul via libera ai negoziati di adesione dell’Ucraina all’Ue diventerebbe un ostacolo quasi insormontabile per un futuro ingresso di Fidesz in Ecr.

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