"Ue non obbligata a investire in Usa"

La Commissione non ritiene vincolante l’impegno anti-dazi che vale 600 miliardi

"Ue non obbligata a investire in Usa"
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Anche se ufficialmente in vigore da ieri, i dazi dell'amministrazione Trump («Miliardi in arrivo negli Usa!», ha twittato) alimentano uno scenario di incertezze. L'Unione europea, in particolare, cerca di disegnare una strada in un percorso che si presenta tutt'altro che rettilineo. Un nodo da dipanare riguarda l'ammontare degli investimenti promessi da Ursula von der Leyen nel vertice con Trump a Turnberry in Scozia due settimane fa. I 1.350 miliardi di dollari di commitment, specialmente i 600 miliardi di interventi europei negli Usa (gli altri 750 miliardi sono acquisti di energia su base triennale), secondo Bruxelles, non sono da intendersi come scritti sulla pietra. «Questi impegni non sono vincolanti: la Commissione non ha il potere di imporli», ha ribadito ieri il portavoce dell'esecutivo comunitario Olof Gill. «Si tratta però di intenzioni trasmesse in buona fede, dopo aver consultato le nostre industrie e gli Stati membri», ha dichiarato aggiungendo che è «quasi impossibile che tutte le imprese di tutti i 27 Paesi membri accettino di buon grado i diktat di Trump». La promessa degli investimenti, quindi, si rivela ancora molto incerta, e non vi è garanzia che si realizzi nei termini previsti.

In una fase delicata come questa, l'Europa sta cercando di definire una strategia chiara. Il testo congiunto, il documento che dovrebbe stabilire le linee guida per la cooperazione economica tra le due aree, «è sul tavolo di Washington, la palla è nel loro campo». Il problema è che Washington, guidata da un Trump determinato a utilizzare le tariffe come leva, non ha ancora dato il via libera definitivo. L'incertezza si estende anche ai tempi di attuazione, che si sono rivelati più flessibili del previsto, come sottolineato da Gill. «Da quanto ci risulta, i dazi Usa sono entrati in vigore», ha spiegato Gill. Ma resta la minaccia delle tariffe al 100% sui semiconduttori. «L'intesa al 15% per noi vale anche per farmaci e chip», ha precisato il portavoce della Commissione Europea, mostrando segni di frustrazione nei confronti della nuova politica commerciale degli Stati Uniti.

In parallelo a queste tensioni, emerge un altro fronte problematico: la politica americana nei confronti del Digital Services Act (Dsa) varato dall'Unione Europea. Secondo quanto riferito dalla Reuters, il segretario di Stato Marco Rubio avrebbe incaricato i diplomatici americani di fare pressione sui governi europei per ottenere modifiche o addirittura l'abrogazione della legge, particolarmente ostica per le Big Tech. La Commissione ha immediatamente risposto, sottolineando che «le regole in Europa le facciamo noi europei e le applichiamo».

E proprio il settore tecnologico è stato oggetto di una delle intemerate del presidente Usa. «Deve dimettersi immediatamente. Non c'è altra soluzione a questo problema», ha scritto il presidente sul suo social Truth chiedendo la giubilazione di Lip-Bu Tan, Ceo del colosso dei semiconduttori Intel, alludendo ai passati legami con la Cina. Rapporti finiti nei giorni scorsi nel mirino del senatore repubblicano Tim Cotton, che ha chiesto chiarimenti al consiglio di amministrazione della società. «Il nuovo Ceo di Intel ha legami stretti con i comunisti cinesi. Le aziende americane che ricevono» fondi dal governo «devono rispettare le regole.», ha detto Cotton. Tan in passato ha investito attivamente in società tecnologiche cinesi ed è stato alla guida di Cadence Design Systems, società che ha ammesso di aver violato i controlli all'export americani vendendo strumenti per disegnare chip a un'università cinese con stretti rapporti con l'esercito di Xi.

La Bce, infine, nel suo bollettino mensile ha segnalato un significativo rallentamento della crescita economica. Anche le prospettive di inflazione sono ancora incerte. I dazi potrebbero influenzare l'andamento dei prezzi.

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