Nostro inviato ad Åre
Se da certe bocche, usando un certo dentifricio, spuntavano i fiori, da altre non servono anni per evitare che escano solo slogan triti e ritriti. È il caso di Eva Klotz, consigliere alla provincia di Bolzano per lUnion für SudTirol, partito da lei stessa fondato 19 anni fa, che ieri si è rivolta con una lettera aperta ai cronisti delle televisioni di Stato di Austria e Germania perché la smettano, commentando i mondiali di sci di Åre e quelli di biathlon di Anterselva in Italia (Sud Tirolo per lei, Eva), di «chiamare italiani gli atleti sudtirolesi. Mi si stringe il cuore quando li sento definire italiani campioni di casa nostra come Katja Haller o Patrick Staudacher. Come vi sentireste voi se la Francia occupasse il vostro Paese e sentiste i vostri vicini definirvi francesi?». Ottantanove anni dopo la fine della Prima Guerra mondiale, cè chi è ancora fermo allindomani.
Questo degli atleti «scippati», è uno dei cavalli di battaglia della Klotz che non si rende conto che con queste uscite mette in imbarazzo gli stessi campioni, come ieri ha fatto capire chiaramente Staudacher: «È davvero un peccato che ad ogni Olimpiade o Mondiale spunti qualcuno che tira fuori questa storia. Mi ricordo gli slittinisti alle ultime Olimpiadi, uffa. Questa è una materia che non ha nulla da spartire con noi. È roba della politica, che i politici tirano fuori quando fa comodo a loro però, strumentalizzandoci. Tra tutti, sono quello più vicino al Brennero e quindi allAustria, ma non ho mai pensato a quale carriera avrei avuto se fossi nato al di là del confine. Non ha senso. Dopo Torino si è provato a fare una dichiarazione pubblica, ma non è servito a niente».
Ha aggiunto Fill: «Se uno sciasse per lAustria dovrebbe affrontare una maggiore concorrenza. Di certo avrebbe i vantaggi di una maggiore organizzazione, ma anche adesso che, passata Torino 2006, i soldi in federazione sono finiti, a noi non è in pratica venuto a mancare nulla. I veri tagli sono stati a livello di squadre minori, magari tra alcune stagioni avremo un buco generazionale anche se mi auguro di no».
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