Eva Robin’s: stavolta sono un prete transgender

da Locarno

Sulla scena asfittica di Locarno, mentre dichiarano forfeit i pezzi forti Anjelica Houston, Michel Houellebecq e Oliviero Toscani, irrompe un’icona della trasgressione (a questo punto, un po’ datata), strizzata in hot-pants di tela jeans, blusa beige, sandaletti tempestati di pietre e cristalli di rocca alle orecchie. È Eva Robin’s (pseudonimo di Roberto Maurizio Coatti), l’attrice e showgirl bolognese, classe 1958, che negli anni Ottanta fu la portabandiera di una dichiarata ambiguità sessuale, né volgare, né sciatta. Il suo strabismo di Venere si è accentuato, le labbra non sono siliconate al meglio, ma l’artista di natura androgina lo scorso inverno ha tenuto banco a teatro con Otto donne e un mistero, insieme tra le altre a Sandra Milo e Corinne Clery, e quest’estate spera di piazzare nei circuiti festivalieri, il corto di Maria Arena, la videomaker che l’anno scorso portò a Locarno il corto Ceremony. In Deserto grigio - forse in lizza per il Torino Film Festival -, la Robin’s travestita da prete, sdoppiato tra anima maschile e femminile, sibila frasi suggestive per poi togliersi l’abito talare lasciando scoperta non solo l’anima. «Il colore della verità è grigio», suona l’incipit del filmino (dura 15 minuti), una citazione dal poeta André Gide. Ma colorata sembra la verità personale di Eva, pronta ad augurare buona fortuna a Vladimir Luxuria, collega di ambiguità sessuale che parteciperà all’Isola dei famosi 6. «Tanti auguri! Però, sull’isola ci si snatura, si diventa aggressive, perché non c’è nulla da mangiare! Io dovevo partecipare alla seconda edizione dell’unica trasmissione che guardo sulla Rai, ma poi cambiarono il regista e la cosa sfumò», rivela la Robin’s, apparsa l’anno scorso nel film di Cinzia Bomoll Il segreto di Rahil. Videodipendente («praticamente vivo davanti a Sky»), appena un po’ indignata dalla volgarità imperante («ciò che vediamo in tivù è nulla rispetto a quanto avviene in famiglia, luogo ben più pericoloso delle autostrade»), attratta dalla sperimentazione videoart, Eva ama il cinema. «La mia vita è già un film, ma se dovessi scegliere la pellicola del cuore punterei su Morte a Venezia di Luchino Visconti, perché mi sono identificata a lungo nel personaggio di Tadzio. Avrei voluto fermarmi a quella fase adolescenziale, ma poi mi è sfuggita la mano e mi sono cresciute le tette», commenta l’attrice deprecando il macchiettismo alla Montesano a proposito di dolorose metamorfosi intersessuali. «Lavorare con le donne mi piace. Una volta però ho dovuto tirare fuori gli attributi sgridando col mio vocione maschile Elsa Martinelli. Fu divertente: nessuno capiva da dove venissero quei toni virili», racconta.

Nel suo futuro c’è ancora il palcoscenico: quest’inverno porterà in scena Le serve di Genet e Fiori d’acciaio di Halring, ancora con Sandra Milo. «Madame sono io e il teatro ormai ha scelto me», conclude Eva con la consueta autoironia.

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