A noi fa molto piacere che Michela De Paoli, la casalinga di Pavia che ha vinto un milione di euro a Chi vuol esser milionario, abbia trovato anche un lavoro: segretaria in uno studio medico. Ma con tutto il rispetto e la simpatia per la sua intelligenza e la sua persona, confessiamo che la lettera da lei inviata al Corriere della Sera, dove sosteneva che «lItalia non è un Paese per intelligenti» e anzi una nazione «dove lapparenza conta più dellintelligenza», ci fa un po cadere le braccia. Se davvero così fosse, avremmo tutti un superiore, maschio o femmina, scemo ma bello, il che statisticamente ci appare un azzardo.
Più in generale, questo scontro fra bruttezza e cervello da un lato, avvenenza e stupidità dallaltro, ha un po stancato nel suo conformismo di fondo. Bisogna rassegnarsi: i brutti, che sono, siamo, maggioranza in Italia come nel resto del mondo, non necessariamente sono anche dei geni; la minoranza dei belli non è di per sé unaccolita di cretini. Cè di più: i primi debbono comunque esser grati ai secondi; cè un piacere estetico nel guardarli e nellaverli intorno, in casa, per strada, sul lavoro, è come godere di unopera darte senza pagarla, rende meno amara la vita, che già non è una passeggiata.
Poi cè leffimero. La bruttezza, tutto sommato, è una condizione naturale, la bellezza è uneccezione che il tempo si incarica di dilapidare. Specie per una donna è un capitale a credito che non può essere rinnovato e che nel giro di un numero limitato di anni non è più utilizzabile.
Dice la signora De Paoli che lei avrebbe sempre voluto lavorare, e che se si è definita casalinga è stato solo per non definirsi disoccupata. Avanziamo lipotesi che la cultura enciclopedica di cui è portatrice non avrebbe avuto modo di consolidarsi così profondamente se un lavoro ce lavesse veramente avuto, senza nulla togliere, naturalmente, alle fatiche domestiche; e quindi, come dire, non tutti i mali vengono per nuocere
Ha scritto la neo-milionaria di non essersi mai posto il dilemma «meglio bella e scema che intelligente senza il fisico», anche se qualche volta si è detta: «Se tornassi indietro, farei la parrucchiera»
Ora, non per difendere questultima categoria, ma non ci sembra che in essa alberghi una sorta di museo degli orrori, e va da sé che se fossimo tutti laureati in lingue come la vincitrice di Pavia nemmeno lei saprebbe poi da chi andare a farsi fare la tinta. E poi siamo così sicuri che una laurea dia lintelligenza? È una curiosa forma di classismo e viene anche da chiedersi, tornando a questa sua visione fosca di una vita negata ai «brutti ma buoni» se, per fare solo due esempi, Margherita Hack o Rosy Bindi abbiano di che lamentarsi di come la società abbia risposto alle loro aspirazioni. Si badi bene: non stiamo parlando di eccezioni, possiamo portare decine di esempi in tal senso: è una vita che siamo comandati da «cessi», con licenza parlando, e neppure particolarmente intelligenti, se la dobbiamo dire tutta.
Fossimo dunque nella signora de Paoli saremmo meno tranchant nei giudizi e lasceremmo comunque alla semplice bellezza dun corpo, anche se priva delle profondità della mente, il diritto di farsi strada in questa valle di lacrime.
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