Pietro Vernizzi
Andrea Soffiantini porta al Teatro Fontana il monologo che Giovanni Testori scrisse apposta per lui. Factum est, poemetto in 14 parti, è in scena con la regia di Emanuele Banterle, che nell'81 curò il debutto nella basilica del Carmine a Firenze. Con una scelta inedita lo spettacolo dà voce a un bambino appena concepito, che i genitori avrebbero voluto non mettere al mondo.
«Avevo conosciuto Testori recitando un suo lavoro, Interrogatorio a Maria - racconta Soffiantini -. Un giorno gli confidai che mi sarebbe piaciuto esprimere la vita a teatro, ma che quando ci provavo mi veniva solo un balbettio. Poco dopo venne da me con i fogli dattiloscritti di Factum est, il cui protagonista, che all'inizio non sa ancora parlare, incomincia lo spettacolo proprio balbettando».
La stesura di Factum est fu influenzata anche dal referendum sull'aborto dell'81?
«Testori era un "contemporaneo", nel senso che viveva le vicende della sua epoca. Il dibattito che lo circondava spesso per lui era un pungolo a scrivere. Ma il monologo è attuale ancora oggi, in quanto è essenzialmente un grido della carne trafitta, violata e uccisa. Il protagonista è un grumo di cellule, ma il suo dolore è assimilabile a quello di qualsiasi corpo che subisce una violenza».
È questo il significato dello spettacolo?
«Il significato è che quando l'uomo rinuncia a essere creatura, anche senza volerlo diventa disumano. Gli sorge un bisogno terribile: essere Dio. Ma non essendo Dio combina dei grandi disastri».
Passando al suo lavoro di attore, come si fa a rendere la voce di un bambino non nato?
«Dopo la prima lettura credevo di avere capito già tutto e di essere in grado di andare subito in scena. Invece mi sono occorsi molti mesi di lavoro con l'autore e con il regista, finché questi versi sono diventati un "ron ron" insopportabile nelle mie orecchie. Non riuscivo più a scrollarmeli di dosso e capivo che quel bambino in realtà era Testori che s'immedesimava con quelle parole. Per renderle bene, insomma, ho dovuto accettarne lo spessore esistenziale».
L'"accettazione" è uno dei temi forti di Testori
«È questa la forza dei suoi monologhi, che in apparenza sono la situazione teatrale più "statica". Il dramma e l'azione stanno nell'attendere la parola, nel dire sì a essa, nell'accettarla».
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