Un falegname antipop CEROLI non finisce più

Dopo la mostra del Palaexpò, due gallerie (Ricerca d’Arte ed Emmeotto) dedicano un’esposizione allo scultore

Un falegname antipop CEROLI non finisce più

Per opere nuove e non di Mario Ceroli si apre un doppio appuntamento, destinato a prendere il testimone della mostra appena terminata al Palazzo delle Esposizioni, che proprio con Ceroli, Rothko e Kubrick ha riaperto i battenti due mesi fa. Insomma, è il suo momento. Lo è da molto tempo e non occorrono presentazioni per un maestro tanto noto, eppure sembra una stagione di rinnovata vitalità dell’attenzione critica e del mercato. Uno scultore (anti)pop della Scuola romana di Piazza del Popolo, un rappresentante dell’arte povera, uno scenografo, un «piccolo Rimbaud della falegnameria» secondo le parole dello scrittore Goffredo Parise, maestro dell’arte delle sagome; tanto per richiamare agli occhi e alla memoria di tutti il suo profilo d’artista. Ceroli si rivela ancora una volta capace di scovare nella materia comune, di cui sottilinea la concretezza - come se non volesse mai creare l’equivoco di una volontà di sublimazione -, una poesia spontanea e dispiegarla. Ci sono opere inedite nelle sale della galleria Emmeotto di via Margutta e in quelle di Ricerca d’Arte di via Giulia, e altre che costituiscono delle sintesi del percorso già compiuto, e allora ecco gli Innesti (ci sono anche tanti ritratti,volti lignei di profilo, sagoma su sagoma, colorati o no) o la grande Assemblea delle streghe del 1969, di legno grezzo, bruciato e dipinto, nella quale i profili si moltiplicano con vario ritmo e inclinazione sulla superficie. Ma le inedite sono opere sorprendenti, una ragione forte per andare a vedere questa mostra: sono lavagne di modeste dimensioni, su cui Ceroli ha sovrapposto - la formula non sconcerta - figure o oggetti di variato spessore e densità d’assemblaggio, ad esempio silhouette di piombo, gessetti colorati, pastelli, oppure ha tracciato lievi segni graffiandole. Si tratta di appunti di viaggio e riflessioni dei primi anni novanta sul mondo arabo, fissati a posteriori sull’onda delle emozioni di un soggiorno in Marocco. Una decina d’anni più tardi Ceroli incideva la carta vetrata, come nel caso dell’esposta Donna nuvola, lasciando emergere il volume della figura dall’increspatura della materia «tagliata», come portando idealmente a compimento un affluente di quel percorso al nero. Una ricerca del linguaggio della materia, come sempre, e qui del suo specifico modo di essere silenziosa, forse costretta al silenzio, forse profondamente offesa, o muta. Nelle lavagne torna pure un tema costante, la forza di suggestione della lezione del Rinascimento italiano, la prospettiva di nuovo indagata da capo, il fascino del disegno preparatorio che imposta le linee, le ombre portate che qui si allungano e acquistano corpo autonomo, a volte gigantesco.

Peperino, carbone, piombo sull’ardesia, ma assieme alla sovrapposizione di materia su materia trova gran posto la forma in negativo, e non solo data dal segno che profila ed incide, ma dall'assenza che scava, come nella grande installazione Il seme dell'uomo, di foglie secche, legno, pietra, terra, nella quale la figura umana ritagliata è vuota, probabilmente risorta.
Mario Ceroli. «Vedere... vedere… vedere». Fino al 31 gennaio. Emmeotto», via Margutta 8, e Galleria Ricerca d’Arte, via Giulia 180. Orari: martedì-sabato 10,30-13,00/16,30-20,00. Info: 063216540

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