IL FALLIMENTO DI UN’UNIONE

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L’astiosa contestazione di piazza contro Francesco Rutelli è il segno dell'esaurimento dello spirito da Fronte di liberazione nazionale che ha tenuto insieme per tanti anni l'opposizione. Il fallimento del vertice dell'Ulivo è la prova di quanto è difficile, se non impossibile, tenere insieme una coalizione che va dall'Udeur a Rifondazione. Non si tratta solo di sigle, ma di storie e di visioni politiche. Le strette maglie del bipolarismo possono costringere in uno stesso schieramento moderati dall'ispirazione governativa, nuovi riformisti a cui è sempre piaciuto Tony Blair, post-comunisti che oscillano costantemente con l'unico scopo di conservare la loro egemonia, super-verdi, eredi della stagione giustizialista, neo-comunisti e antagonisti che scommettono solo sul conflitto sociale. Ma alla fine un'architettura così artificiale non può reggere. È quello che si chiama un cedimento strutturale.
Con tre paradossi. La crisi del centrosinistra è esplosa all'indomani di una clamorosa vittoria elettorale. È stata la prospettiva di tornare al governo a cambiare tutto, a porre cioè il problema di come tornarci, per fare cosa e quindi di quale assetto deve avere l'Unione. Il collante dell'antiberlusconismo non ha retto. Il rifiuto della Margherita di aderire alla creatura prodiana è spiegabile in questa chiave, nel rifiuto di un'alleanza di sinistra-centro. Il secondo paradosso è che la rottura si è consumata prima ancora che si cominciasse a parlare in modo compiuto del programma. Si è data per scontata l'impossibilità di trovare delle convergenze credibili. Si ripete in Italia lo stesso copione che, in questi mesi, viene recitato nel Regno Unito e in Germania, dove la lacerazione è fra una sinistra riformista e una populista. Con una differenza però: qui non ci sono figure come quelle di Blair o di Schröder capaci di dire ciò che vogliono. Così, il terzo paradosso è sottolineato dal fatto che Rutelli compie una scelta di autonomia rifiutando la forma politica proposta da Prodi, senza però dire nulla sulla sostanza. Così i segnali della difficile coabitazione vengono essenzialmente dalla periferia.
Il leader dell'Unione, il professore, appare oggi come la classica «anatra zoppa». Ha un'investitura condizionata, così come la ebbe nel 1996, ha dalla sua la quasi impossibilità di mettere in campo un altro candidato, ma non ha molte strade davanti, se non quella di provare ad insistere, come sta facendo, su una lista unitaria con gli alleati disponibili. Che significa i Ds e qualche cespuglio. Sarà possibile? Difficile rispondere, soprattutto perché il centrosinistra è piombato di nuovo in uno stato di grande confusione.
Altrettanto difficile è comprendere lo sbocco dell'iniziativa di Rutelli. È stata una scelta spiegabile e probabilmente obbligata di fronte al prevalere, nell'alleanza, di un antagonismo non spendibile in un'elezione politica, soprattutto di fronte all'evoluzione che finalmente si è messa in moto nella Casa delle libertà. Ma fino a dove può arrivare il leader della Margherita? Può mettere in discussione questo bipolarismo, così come si è definito nell'ultimo decennio, o deve rassegnarsi a rappresentare solo la componente moderata e riformista dell'Unione, sperando di essere più di una nicchia? Scommette su un possibile dopo-Prodi? Il traguardo è avvolto dalle nebbie.

Al momento ha incassato solo un utile politico: ha dimostrato che il progetto di «uniti nell'Ulivo» è più immagine che sostanza, non è una delle due gambe del possibile bipartitismo. Ma lo ha incassato scuotendo la sua alleanza e mostrandone l'inconsistenza politica nel momento di massimo appeal elettorale.

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