Emanuela Fontana
da Roma
Se potesse fermare il tempo, tornare indietro all’estate scorsa, ritrovarsi davanti al bivio: telefonata a Giovanni Consorte da una parte, non telefonata dall’altra, il segretario dei ds Piero Fassino non avrebbe dubbi. Ritelefonerebbe. La conversazione intercettatissima in cui l’ex presidente di Unipol e il segretario della Quercia parlavano dell’operazione Bnl («e allora, siamo padroni di una banca?» era stata la domanda fatidica di Fassino), era diventato un caso interno alla sinistra: lettere esterrefatte sull’Unità, uno schiaffo di Gianpaolo Pansa che sull’Espresso aveva titolato il suo bestiario: «I furbetti del Botteghino», più altre indignazioni e sventolii di moralità da ritrovare nel centrosinistra. Fassino ha sbagliato anche se non ha commesso un reato, può capitare, si era detto dalle parti amiche. Ma Fassino, sette mesi dopo, sceglierebbe di perseverare.
La confessione è stata strappata dal periodico Parioli Pocket (oggi l’uscita). Tra le tante domande, una è tornata a stuzzicare il segretario ds sulla conversazione alla cornetta che aveva imposto una riunione urgente dei vertici del partito: spegnerebbe il telefono, se potesse tornare indietro, per non comporre il numero dell’ex presidente di Unipol? Per non passare quegli stessi giorni orribili, verrebbe da aggiungere, per non leggere quelle lettere di fuoco pubblicate dal giornale di riferimento? Fassino è stato disarmante: «Rifarei la chiamata a Consorte - ha risposto - come tutte quelle che partono o arrivano al mio cellulare. Le mie telefonate non hanno segreti e non sono né sono state telefonate di cui vergognarmi».
Tutte le chiamate del segretario furono messe sotto le lenti dei giornali, del Giornale prima e degli altri poi. Quindici minuti di chiacchierate con Consorte, tra il 7 e il 17 luglio. Quando scoppiò il caso, a fine dicembre, Fassino si trovava in vacanza in Messico. Ma al Botteghino succedeva di tutto: il dalemiano Peppino Caldarola si diceva «sconcertato, amareggiato e deluso». E poi una bomba ancora più deflagrante, l’intervento di Vannino Chiti, della segreteria, su Repubblica: «Sì, forse qualcuno nel nostro partito ha fatto il tifo per l’Unipol nella scalata alla Bnl. Secondo me, un partito non dovrebbe mai tifare, farebbe meglio a non schierarsi in vicende di mercato come queste». Di sasso anche i senior della Quercia Emanuele Macaluso e Giorgio Napolitano. Insomma, un momentaccio per il segretario. Pansa era arrivato addirittura a suggerire a Fassino di rassegnare le dimissioni come gesto nobile in un tale decadimento d’immagine. Infine tra le tante critiche, anche quella di Liberazione, quotidiano di Rifondazione, che aveva semplicemente ripubblicato a memoria dei posteri ds e soprattutto del segretario un’intervista a Luigi Berlinguer sulla «questione morale».
Le altre affermazioni di Fassino a Parioli Pocket, anticipate ieri, sono passate in secondo piano rispetto alla «ritelefonata». Il segretario ds ha parlato del suo rapporto con la tv: «Sono stato anche da Maria de Filippi, lasciando da parte la politica in favore di un profilo privato personale» (in trasmissione era comparsa la vecchia tata). Di politica estera: «Se governeremo il Paese, il ritiro delle nostre truppe avverrà, di concerto con le autorità irachene, entro il 2006». Della barca di D’Alema, ma a domanda: «Sono stato su diverse barche, ma non su quella di Massimo. Io, comunque, barche non le possiedo». Con il centrosinistra «non ci saranno condoni» e ci sarà «una legge seria» sul conflitto di interessi.
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