«Un fedelissimo alla causa comunista»

RomaPresidente emerito Francesco Cossiga, a volte la cultura non paga. La fedeltà ideologica invece sì?
«Dipende».
Corrado Augias. Chi l’ha visto mai come spia? Storia credibile?
«Non me l’aspettavo neanch’io, che pure conosco bene Colby e ricevo dai ragazzi di via Veneto, come chiamo gli amici della Cia, gustosi regalini di compleanno... No, Augias non mi sembra il tipo da avere informazioni sensibili, e d’altronde sono sicuro che non abbia alcuna attitudine psico-tecnologica per fare la spia, neppure dilettante».
E allora in quale campo siamo?
«Siamo al terzo livello, quello dell’“informatore inconsapevole”».
Una specie di «utile idiota»?
«Non necessariamente. Si tratta di persone, spesso magari giovani, che credono di parlare con un diplomatico e sono invece davanti a un agente. A volte basta un invito a cena dell’addetto stampa di un’ambasciata, e uno, per fare bella figura...».
Non c’è contraccambio di soldi.
«Di solito no. E non sarebbe neanche punibile: in altri Paesi, più seri dei nostri, si punisce chi riceve denaro da un servizio segreto straniero, senza che sia necessario dimostrare il passaggio di notizie segrete. In Italia no, puoi beccarti un milione dalla Sfb (l’erede del Kgb, ndr) e, se non riveli notizie segrete, puoi metterlo pure nella dichiarazione dei redditi».
E l’intelligence straniera che interesse avrebbe, a contattarti e magari pagarti?
«Magari soltanto per mettere assieme i tasselli di un quadro, ricomporre un domino, fare la mappatura di un ambiente. Così, per esempio, si giustificò il più noto di essi, Ruggero Orfei, consigliere diplomatico di De Mita nonché “agente operativo” in contatto con i servizi cecoslovacchi e nella lista Mitrokhin del Kgb. La cosa che mi fece più arrabbiare, era che i suoi “contatti” avvenivano o in un bar-ristorante della stazione Termini o nella chiesa di San Claudio, che frequentavo anch’io. Dunque, certamente a un inginocchiatoio poco distante dal mio...».
Augias sembra ammettere di aver conosciuto un non meglio precisato «diplomatico».
«Appunto. Ma Augias va compreso: è sempre stato un intellettuale “organico“, che nutriva una totale fedeltà ideologica per la patria... la “loro” patria, cioè dal punto di vista dell’internazionalismo comunista, per il quale l’Urss era Stato-guida. D’altronde, a parti invertite, io avrei fatto lo stesso, per riconquistare la libertà di un’Italia eventualmente satellite dell’Urss. Così come, negli anni Sessanta, il celebre Philby...».
La celebre spia del Kgb?
«Sì, un esponente dell’aristocrazia britannica, che aveva abbracciato il credo comunista. Non il solo: furono chiamati Cambridge Five i cinque rampolli britannici che si scoprì lavoravano per la grandezza dell’Urss. Philby era stato contattato tramite una ragazza, in Austria: “se vuoi aiutare la causa del comunismo internazionale - gli fu detto - aiuta l’Urss, e avrai servito molto meglio la causa del socialismo che in qualsiasi altro modo”».
Montanelli lo aveva conosciuto.
«Sì, durante la guerra civile spagnola. Lavorava come giornalista per un quotidiano conservatore e interpretava la parte del tipico inviato distratto, poltrone, ubriacone... Tanto che, mi confidò Montanelli, alcune corrispondenze di guerra gliele aveva scritte lui».
Altro livello, torniamo all’«informatore inconsapevole». Quali gli altri gradini?
«L’agente professionista vero e proprio, come il famoso Giorgio Conforto, che prestò servizio per il Kgb essendosi infiltrato anche nell’Ovra fascista, e ottenendo persino la pensione. Infine, gli “informatori pagati”, tipo quel dirigente sindacale che fu accusato di essere in combutta con i servizi bulgari e con il Kgb, ma poi fu scagionato...».
E dirigenti del Pci, alla Cossutta, erano «pagati»?
«Cossutta è un amico e so che non era una spia. Semmai le spie, dentro Botteghe Oscure, informavano in anteprima il Kgb dei passi fatti da mio cugino Enrico Berlinguer per prendere le distanze dall’Urss. Pensi che, per avere i finanziamenti dal Kgb per Paese Sera, Cossutta dovette andare dall’ambasciatore di Parigi, non fidandosi di quello in Italia, che avrebbe potuto riferire a Berlinguer... L’episodio divertente però fu un altro: l’aereo con il quale tornava fu costretto a un atterraggio d’emergenza per una tormenta.

Quando, evocando la storia in un’occasione pubblica, Cossutta raccontò: “riparammo a Copenaghen”, io lo corressi: “No, Stoccolma”. “Come fai a saperlo?“, sbalordì. “Eravamo meno fessi di quanto tu pensavi”, potetti dire con soddisfazione».

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