Politica

La Festa dell’Unità è diventata la festa di Mastella

Ma le feste dell'Unità pesano ancora come una volta, quando il Pci ne faceva una passerella inimitabile per decuplicare la forza di penetrazione del suo messaggio politico?
Due giorni prima della chiusura (la manifestazione si è svolta tra il 25 agosto e il 18 settembre) il responsabile Feste dei ds, Lino Paganelli, ha tracciato un bilancio entusiastico dell'evento nazional-milanese: più di due milioni di visitatori, entrate per due milioni di euro, migliaia di relatori ai dibattiti (qualche maligno osservatore commenta: quanti quelli che li sono andati ad ascoltare). L'organizzazione ds mostra i muscoli: in tutta Italia trecentocinquantamila volontari hanno promosso oltre tremila feste. Si raccolgono i frutti di un lungo impegno di ricostruzione del partito. Il faticone Piero Fassino non sarà un'aquila della politica ma è un iperattivista, capace di curare i più piccoli particolari della macchina che fu del Pci: molto della mitica potenza dell'apparato e dell'attivismo bolscevico è andato in malora, ma quel che resta lo sgobbone piemontese è riuscito a farlo ripartire. Sui risultati della festa meneghina conta anche che i ds milanesi, di fatto oggi guidati dal presidente della Provincia Filippo Penati (superpresente nella festa), hanno riportato al potere quegli esponenti dell'area riformista che anni fa Achille Occhetto aveva emarginato. E i pragmatisti, si sa, eccellono nei lavori pragmatici come mettere insieme una festa.
Milano e la Lombardia in tempi lontani erano stati i luoghi dove le feste dell'Unità avevano fatto le loro prime prove e poi erano state rilanciate: vicino a Como quel genio della propaganda che fu Luigi Longo aveva inventato le Feste dell'Unità dopo la Liberazione, copiando la formula francese decollata dopo la Rivoluzione dell'89. Nel 1973, poi, proprio al Parco Sempione (che si è ripreso solo in questi anni, grazie al vicesindaco Riccardo De Corato, degli effetti di quella e delle successive feste) Gianni Cervetti, allora leader dei comunisti milanesi, rilanciò la formula delle feste del quotidiano del partito, aprendo all'alta cultura, alle mode (con sacrifici di melodici tipo Don Backy che oggi ricorda la discriminazione subita) e con la presenza di esponenti di altre culture politiche e ideologiche nei dibattiti che si tenevano sotto le stupende piante del parco.
Negli anni Quaranta e Settanta i comunisti fecero una vera rivoluzione nel campo della comunicazione politica. Si può dire lo stesso della festa diessina che si è appena conclusa (con una codina fino a oggi dedicata a Beppe Grillo)? No, la formula applicata a Milano è quella tradizionale emiliana: strutture (capannoni e stand) affidati a società appaltatrici, molto funzionali e moderne ma collocate in piano senza fantasie (se non un veltroniano, orrendo ponticello con bandiere). L'offerta culturale è amplissima, degna dell'egemonia che i post comunisti esercitano sulla cultura italiana ma senza alzate d'ingegno: si affiancano iniziative modernizzanti al cantautore leghista Davide Van De Sfroos, al qualunquista-estremista Beppe Grillo. I dibattiti politici coprono un infinito arco di temi: sulla tv duettano prima Fedele Confalonieri e Carlo Rognoni, poi Furio Colombo e Claudio Petruccioli. E così via. Vi è una partecipazione assai articolata: impressionante la presenza di giornalisti e banchieri. Alle antiche attrici di prosa affascinanti ma anche colte, si preferiscono protagoniste dalle killing legs, dalle gambe che uccidono come è stato scritto. Il problema con i dibattiti è che, a parte la quantità (207), non sono particolarmente differenti da quelli del recente passato o da quelli che avversari e alleati hanno messo insieme proprio in questa metà di settembre. Molte, infine, le critiche alla cucina con cedimenti a un esotismo inconsulto come testimonia chi inavvertitamente è andato a mangiare in un poco credibile ristorante tibetano. O con un mix di qualità da mensa aziendale con prezzi da ristorante di livello.
Ma che cosa ha tarpato le ali alla creatività diessina? Da una parte ci sono le caratteristiche del gruppo dirigente della Quercia: una squadra di professionisti, ben rodata, che con Fassino ha raggiunto il massimo dell'efficienza possibile, ma senza quell'anima che un'ideologia come quella comunista, di cui pure la storia ha dimostrato le grandi perversioni, dava. E senz'anima puoi esibire capacità organizzative, puoi essere brillante come lo è Walter Veltroni, genio della comunicazione sia pure con basi culturali fragili, ma non arrivano «l'invenzione», «il tocco in più», «l'emozione» che invece riuscivano agli antichi maghi della propaganda comunista. Forse bisognerà aspettare la nascita del partito riformista o democratico per rivedere una forza politica nazionale e popolare capace di comunicare un vero senso con le proprie iniziative.
L'altro fattore che limita la creatività comunicativa dei diessini, è stato l'abbondare di feste, meeting, scuole politiche tenute contemporaneamente o poco prima della festa dell'Unità. Persino la Margherita ha fatto una festa a Porto Santo Stefano: piccolina, clandestina ma con 67 dibattiti e naturalmente gli immancabili Ezio Mauro e Paolo Mieli. Gore Vidal ha scritto, qualche anno fa, un romanzo (Duluth) in cui i protagonisti man mano si trasformano da poliziotti in barboni poi in bancari, da infermiere diventano detective poi ballerine. Il romanzo è una satira degli attori che nelle successive serie di telefilm assumono prima un ruolo, poi un altro e infine uno nuovo ancora, confondendo così in modo irrimediabile l'immaginario dei telespettatori. Così avviene con le feste di settembre: dove Pierferdinando Casini ha attaccato Silvio Berlusconi ed è stato incoronato vero leader del centrodestra: in una festa della Margherita, in quella dell'Unità, a Telese? E rispondendo a chi: a Massimo D'Alema, a Clemente Mastella o a Francesco Rutelli? In quale festa Rutelli ha fatto pace con Prodi e in quale ha rotto? In un confronto politico così insalsicciato, è evidente come l'originalità di un tempo delle Feste dell'Unità si perda inevitabilmente.
Tra l'altro a questa «perdita» contribuisce lo stesso segretario ds. Un tempo il segretario del Pci (prima generale o secondo la sigla cominternista gensec, poi nazionale: perché secondo Enrico Berlinguer questa formulazione era più laica) aveva una frequentazione molto misurata della base comunista. Alle feste nazionali appariva al massimo un paio di volte, sempre in giacca e cravatta. Invece Fassino a un certo punto si è insediato in pianta stabile a Milano. E, poi, per vincere un po' il suo tono da timido burocrate piemontese, si è messo a forzare i toni, a roteare gli occhi, a girare in maniche di camicia. Insomma a forza di volere essere, contro la sua natura, caciarone, ultrapresenzialista, svaccato, l'antico apparatchik torinese è diventato sempre più simile a Mastella.

E, di conseguenza, la festa dell'Unità di Milano è apparsa, soprattutto ai telespettatori, quasi una copia di quella di Telese.

Commenti