Fiat, dopo le smentite si chiede chiarezza

Luca di Montezemolo, Sergio Marchionne e il vicepresidente John Elkann si presenteranno questa mattina all’assemblea degli azionisti al termine di una settimana che si è improvvisamente infiammata sul fronte occupazionale. Le indiscrezioni sul piano industriale Fiat e sui tagli che includerebbe, nervosamente smentite dall’amministratore delegato, hanno di fatto riacceso l’attenzione politica e sindacale sul futuro degli impianti del gruppo in Italia e, dato per scontato l’addio a Termini Imerese, sul peso che avranno nel contesto internazionale in cui si muove il Lingotto. Nonostante la secca smentita di Marchionne, seguita dall’appello del ministro Maurizio Sacconi a evitare «allarmi sociali», la preoccupazione resta. E cominciano a serpeggiare interpretazioni, più o meno velate, per esempio sulle spallucce che Marchionne ha fatto agli incentivi. Per i maligni la preventivata caduta del mercato dell’auto (l’allarme rosso scatterà da aprile) in assenza di bonus, servirebbe al top manager per giustificare, dopo l’estate, lo snellimento della forza lavoro. Intervento che sarebbe portato a termine gradualmente usufruendo di tutti gli ammortizzatori possibili (mobilità, prepensionamenti, ecc). Altri ancora mettono in relazione la nomina del vicepresidente Elkann nel team di Confindustria, con delega ai rapporti con i Paesi emergenti, con la volontà del gruppo Fiat di decentrare sempre più le proprie attività dove il costo del lavoro è più basso e il mercato in crescita offre maggiori opportunità. Per non parlare dei ponti d’oro che i governi di questi Paesi sono disposti a offrire alle aziende occidentali che decidono di investire.
Il presidente Montezemolo, da una parte, e Marchionne, dall’altra, oggi saranno chiamati a dare risposte che vadano oltre le smentite dell’altro giorno. È difficile per i sindacati italiani digerire le 1.000 assunzioni previste da Fiat Automóveis in Brasile, entro maggio, e il ricorso continuo - e obbligato - alla cassa integrazione in Italia. E poi c’è l’integrazione con Chrysler con tutti i risvolti produttivi e occupazionali che il processo comporterà di qua e di là dall’Atlantico.

Marchionne, intanto, continua a fare la spola con Detroit e a riposare più sul divanetto del piccolo jet transoceanico che nel proprio letto. «Il futuro del gruppo e dell’alleanza con Chrysler è tutto nella sua testa», dice chi gli sta vicino. Anche questo preoccupa e fa discutere.

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