Alla fine sotto i Tir è rimasto Prodi

La farsa del governo: prima fa la voce grossa poi si rimangia la precettazione e concede tutto ai camionisti. Risse e gomme tagliate: la protesta violenta

Alla fine sotto i Tir è rimasto Prodi

Milano - Prima la morale e poi la favola. La morale è semplicissima. Se le richieste degli autotrasportatori erano giuste, andavano accettate già mesi fa, quando erano state avanzate, o perlomeno un mese fa, quando era stato annunciato lo sciopero; se invece non erano giuste, non bisognava certo cedere al ricatto di un blocco che ha paralizzato l’Italia, e che è andato ben oltre il legittimo diritto di sciopero. Comunque stiano le cose, il governo - che ieri sera ha calato le braghe - ha certamente sbagliato, perché o ha creato un danno evitabilissimo al Paese, o ha creato un drammatico precedente, concedendo a chiunque, d’ora in poi, il diritto di ottenere con la prepotenza ciò che vuole. Questa è la morale.
La favola, invece, è una favola fino a un certo punto, perché coincide purtroppo con la cronaca della giornata di ieri, una delle più grottesche della pur cialtronesca storia della nostra classe politica.
Partiamo da martedì sera, ore 19,22. Flash d’agenzia: «Il ministero dispone precettazione da mezzanotte di oggi». Perfino noi plaudiamo: bene, bravi, finalmente hanno mostrato di avere gli attributi.
Ore 19,35, altro flash d’agenzia: «Le prefetture sono attivate per vigilare sull’attuazione del provvedimento su tutto il territorio nazionale». È segno che questa volta non si scherza, pensiamo.
Ore 20,09. Persino Prodi mette da parte la sua consueta bonomia e mostra i muscoli: «Il blocco è un’inammissibile violazione della libertà dei cittadini», dice al Tg1. Poco dopo, ore 20,22, l’Ansa fa sapere che «fonti di Palazzo Chigi sottolineano che la scelta del ministro Bianchi è condivisa dalla presidenza del Consiglio, la precettazione era inevitabile». Lo stesso ministero dei Trasporti, quello diretto dal comunista Bianchi, diffonde una nota che ha lo scopo di far venire un’indisposizione intestinale ai conducenti dei bestioni: «La violazione dell’ordinanza di precettazione può comportare anche l’arresto o la reclusione fino a quattro anni», oltre che multe fino a 500 euro al giorno per i singoli «padroncini» e 25.000 euro al giorno a carico delle associazioni. È vero che i sindacati degli autotrasportatori fanno la voce grossa, e dicono che della precettazione se ne fregano. Però tutti noi andiamo a dormire più tranquilli, perché il governo ci ha fatto sapere che al suo interno nessuno è fesso, che non si piegheranno e non si spezzeranno, che anche la sinistra sa essere severa ma giusta. Ci addormentiamo pensando di essere altrove: nella Francia di Sarkozy, nell’Inghilterra della Thatcher, ma anche in Svizzera, o in Germania.
Il problema è il risveglio. Il «buongiorno» - che equivale a un «bentornati in Italia» - ce lo dà proprio il ministro Bianchi, quello che assomiglia un po’ al Mefisto di Tex Willer. Poche ore prima quest’uomo aveva dato l’ordine della precettazione. Ma adesso - ore 9,38 - comincia con i distinguo, e più che Mefisto sembra l’Azzeccagarbugli: «Tecnicamente - spiega - il provvedimento non è una precettazione». Oh bella. E che cos’è allora? «Un’ordinanza per la violazione del codice di autoregolamentazione e per danni alla collettività». Mah. L’intervistatore gli chiede se, al di là delle parole e dei sofismi, le forze dell’ordine interverranno oppure no. «Sono già mobilitate da lunedì», risponde. Cominciamo a preoccuparci. Ma Bianchi rassicura: «Oggi però l’attenzione sarà ancora più intensa». Intanto il Paese continua a restare bloccato.
Vuoi vedere che finirà come al solito, con la «concertazione» e la vittoria di chi ha fatto la voce grossa? Bianchi giura di no: «Le organizzazioni degli autotrasportatori - assicura - saranno convocate solo se revocheranno il blocco». Insomma, precettazione o no, il ministro resta tutto d’un pezzo. Ci ri-tranquillizziamo. Anche perché il vice ministro all’Interno, Marco Minniti, conferma la linea dura: «Chi non rispetta la precettazione sarà denunciato, non si può pensare di poter bloccare un intero Paese». Ma allora la precettazione c’è, che diamine. Minniti conferma: «Sì. È stato un atto dovuto».
Ore 13, primo avviso della farsa. Flash d’agenzia: «Circolano voci di un possibile incontro nel pomeriggio». Ma Bianchi non aveva detto che se non toglievano i blocchi le trattative non sarebbero ripartite? Ma sì, dai: anche il ministro Damiano conferma: «Non si possono tenere i cittadini in ostaggio». Sono le 13,10. Alle 13,41 interviene il Viminale: «Dove restano i blocchi scatteranno le denunce e le revoche delle licenze». Benissimo.
Benissimo un corno. Perché un minuto dopo arriva la conferma: «Si tratta a Palazzo Chigi». E «seduto attorno a un tavolo» c’è anche il ministro Bianchi, quello che aveva detto che senza la fine dei blocchi non avrebbe trattato con nessuno.
Ore 18,57, la farsa è cosa fatta. I sindacati annunciano: lo sciopero è sospeso perché il governo ha accettato «le richieste avanzate dalla categoria».

Manca solo la comica finale. Ma arriva presto. Ore 19,51, parla Prodi: «Sono soddisfatto perché abbiamo riportato il Paese alla normalità senza cedere alle provocazioni. Ha vinto il confronto». E anche la faccia di tolla.

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