Gianni Pennacchi
da Roma
Se il neo ministro degli Esteri Massimo DAlema sapesse resistere alla pulsione di voler sempre lultima parola, aver sempre ragione ed essere sempre il migliore, la notizia sarebbe che ieri al Senato, nel confronto a commissioni Esteri congiunte, si è tenuto «un dibattito maturo» e di livello, «che rappresenta la vera novità, in un paese litigioso come il nostro». Del resto, anche il suo predecessore Gianfranco Fini aveva riconosciuto: «I 4/5 delle linee guida esposte da DAlema le sottoscriverei». Ma è esploso un feroce scambio triangolare tra i due e lex titolare della Difesa Antonio Martino, su un presunto «accordo segreto» tra il precedente governo e gli alleati impegnati in Irak, per far tornare laggiù i nostri militari dopo lo sgombero entro la fine del 2006. Ne avevano parlato in interviste tanto DAlema quanto il sottosegretario alla Difesa Lorenzo Forcieri. E Martino, nellauletta al pianterreno di Palazzo Madama gremita di senatori e deputati, dopo la relazione del ministro sera alzato per precisare pacatamente che no, il Parlamento era stato informato dei progetti in corso per la protezione del Prt (Provincial Reconstruction Team) da insediare dopo la partenza delle nostre truppe. Ma DAlema non sè tenuto, e invece di sorvolare o ammettere «va bene, andremo a verificare insieme gli atti parlamentari», ha retto orgogliosamente il punto rilanciando che «cè una contraddizione palese tra lannuncio di un ritiro militare entro il 2006 e lorientamento della Cdl di mantenere in Irak 1.000 soldati per un tempo indeterminato oltre quella data». Così, han preso fuoco le polveri.
Amareggiato e ferito, Martino aveva spiegato che «il Parlamento è stato tempestivamente e compiutamente informato» della missione civile voluta dallOnu e concordata con Bagdad, e che il governo dellUnione vuole cancellare «voltando le spalle ai nostri tradizionali alleati, le grandi democrazie dellOccidente». Stigmatizzata l«infausta decisione che calpesta lonore dellItalia e delle sue Forze Armate», lex ministro della Difesa sè rivolto direttamente a DAlema: ««Un ministro della Repubblica che si lascia andare ad affermazioni infondate ed infamanti dovrebbe sentire il dovere di scusarsi pubblicamente. Ma conoscendo la proverbiale umiltà dell'onorevole D'Alema, dubito che questo gesto di ordinaria decenza sia alla sua portata. Del sottosegretario Forcieri mi limiterò a dire che mi ero sbagliato sul suo conto, reputandolo una persona seria». Ma DAlema non cedeva: «Da nessuna parte era stato detto che per proteggere 15 tecnici sarebbero rimasti 1.000 soldati. Non era stato detto, tutto qua: niente di drammatico».
Niente di drammatico? È intervenuto Fini in appoggio di Martino, scegliendo il tono caro a DAlema, il sarcasmo: «Abbia cura prima di accusare un ex ministro di aver detto una bugia», ha scandito guardandolo fisso, «di informarsi presso gli uffici del suo dicastero. Lì troverà le prove evidenti, voglio credere perché non informato, di una colossale ed evidente bugia». Figurarsi laltro: «Non vi è alcun riferimento in questo testo a un contingente militare», lo ha interrotto agitando un fascicolo di atti parlamentari e avviando un battibecco di «legga meglio», alla «pagina nove», alla «riga successiva».
In verità si sapeva che la gestione di un Prt nella provincia di Dhi Qar, pur se con impegno di civili, richiede una presenza armata per garantirne la sicurezza. E si sapeva anche che questa nuova pagina doveva essere aperta dallOnu. Dunque perché Romano Prodi e DAlema dicono ora no? Perché non ci sarà lOnu o perché in Irak non bisogna più mandare nemmeno un carabiniere? A questi interrogativi, anche lo scambio di colpi con Martino e Fini non ha dato risposta.
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