Fini: «Italia via dall’Irak d’accordo con gli alleati»

da Roma

«La linea del governo è chiarissima: il nostro ritiro dall’Irak avverrà nel 2006», conferma Gianfranco Fini, prima di tuffarsi nel dibattito sull’Iran in occasione della presentazione del libro di Lilli Gruber («Chador») sul paese finito nelle mani di Mahmoud Ahmadinejad, l’ultraconservatore presidente del Paese islamico di osservanza sciita. Sarà un rientro scaglionato da Nassirya? Il vicepremier e ministro degli Esteri preferisce tenersi abbottonato: «Decideremo in base alle condizioni di sicurezza che si saranno realizzate, in base alle richieste del governo di Bagdad che sarà eletto alla fine dell’anno e in base alla concertazione con gli alleati».
Dove però si espone Fini è sull’Iran e sulle preccupazioni europee per le sue velleità nucleari. «Non mi pento di nulla», puntualizza sulla sua uscita da Gerusalemme, quando giudicò molto severamente i propositi di «distruzione di Israele» pronunciati da Ahmadinejad. Ma trova il nostro ministro degli Esteri che «il dialogo resta l’unica via da percorrere» per evitare che la sitazione s’incancrenisca. Svela anzi che il ministro degli Esteri inglese Jack Straw, proprio un paio di giorni fa ha parlato col suo omologo iraniano, trovando disponibilità alla riapertura delle trattative con la Ue. Dice di «non essere pessimista» Fini, rispetto all’evoluzione delle cose, e in questo gli si affianca Fassino - che assieme all’ex-presidente dell’Eni Franco Bernabè era stato chiamato a presentare il libro della Gruber - notando come «al rigore va affiancata la volontà di tenere aperta la porta del dialogo».
Ma in prima battuta, per il nostro ministro degli Esteri resta la «pericolosità» di una scelta nucleare da parte di Teheran su cui bisogna essere sereni e fermi. «Tenere alta la guardia è necessario» avverte, concedendo agli iraniani la possibilità che venga loro riconosciuto lo status di potenza regionale («Una legittima aspettativa») una volta che questi si decidano a mostrare senso di responsabilità. Il problema resta comunque complesso e di non facile soluzione, a suo modo di vedere. Intanto perché a Teheran quasi tutti - dal tassista al ministro degli Esteri - si chiedono perchè mai non possono avere «la bomba» visto che, ai loro fianchi, tanto l’India e il Pakistan che Israele ce l’hanno. Ancora, perché osserva come l’Onu resti al palo nell’operazione di autoriforma (al di là della vetrina del consiglio di sicurezza), e dunque non riesca a venire a capo di nessuna o quasi delle emergenze che, periodicamente, si scatenano da una parte all’altra del globo. E infine perché a suo modo di vedere, rimane difficile l’approdo alla convivenza tra democrazia e Islam. Proprio per questo - ci tiene a sottolineare - risulterà di importanza vitale l’ingresso della Turchia nella Ue, visto tra l’altro che Ankara sta rispettando in modo chiaro le richieste di Bruxelles sui valori cui dare riconoscimento.

Chiuso allora l’incidente con Teheran che aveva provocato sussulti nazionalistici da parte degli iraniani? «Discutere è necessario» nota il nostro ministro degli Esteri ai microfoni di una emittente iraniana. Aggiungendo però con un sorriso: «Sì al dialogo, ma cerchiamo anche di capirci...».

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