Fisco più semplice e meno burocrazia. Più risorse per il territorio e meno sprechi. «Il cittadino potrà controllare direttamente se le cose, per cui paga, funzionano sul serio», assicura il ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli. Il sogno si chiama federalismo fiscale e, in Italia, è già legge; da oltre un anno. Fu approvato, infatti, il 5 maggio 2009. Eppure molto resta da fare, perché il testo votato dal Parlamento stabilisce i principi, ma non precisa le norme di applicazione, che devono essere stabilite dai decreti attuativi.
Unimpresa vasta, complicata, delicatissima. Quei decreti rappresentano lo snodo cruciale, da cui dipenderà il successo o linsuccesso del federalismo fiscale.
Innanzitutto: bisognerà avere pazienza. La legge stabilisce un periodo di due anni per pubblicare i decreti. Uno è già passato, ne resta un altro, fino al 5 maggio 2011. Poi inizierà la transizione che durerà cinque anni; dunque, solo nel 2016 la riforma entrerà a regime. Una riforma che già spaventa economisti come Tito Boeri o agenzie (di dubbia moralità) tipo Moodys. Cè chi teme lesplosione dei costi nel lungo periodo e chi forti scosse di assestamento già nella fase iniziale. In realtà nessuno può formulare previsioni accurate per la semplice ragione che i decreti attuativi non sono ancora stati diffusi. E Tremonti, che ne è lartefice, anche se, come vedremo, non lunico responsabile, non scopre ancora le carte. Le Cassandre possono attendere. Altri dubbi, invece, sono legittimi.
Uno dei due principi costituenti stabilisce che gli enti avranno maggiore responsabilità nel gestire le risorse. Bene. Oggi vengono convogliate al centro e poi ridistribuite, secondo criteri che penalizzano le Regioni virtuose e favoriscono quelle sprecone; come ben sappiamo. Il federalismo intende promuovere un sistema più equo. Perché un camice da chirurgo costa otto euro in certe regioni e oltre trenta in altre? ha chiesto Feltri laltro giorno sul Giornale. Perché la Regione Lombardia ha 3mila dipendenti e la Sicilia 30mila? Il progetto intende porre fine, o comunque limitare abusi e sprechi, senza peraltro abbandonare al proprio destino le aree più povere, che verranno assistite tramite un fondo perequativo tra regioni ricche e regioni povere, come avviene in Svizzera e in Germania.
Fin qui tutto chiaro, ma non appena si passa al secondo principio costituente emergono le incognite. I fondi da dedicare alla sanità, allassistenza sociale, alla scuola non saranno più determinati in base alla spesa storica - ovvero ai budget precedenti - ma applicando quella standard. I manager conoscono bene questo principio: si tratta di stabilire valori di riferimento validi per tutti. Idea brillante in azienda, ma difficilissima nella Funzione pubblica. Lo Stato ci ha già provato ed è stato un fiasco.
Qualche esempio, per capire. Il federalismo fiscale prevede che una Tac abbia lo stesso rimborso in ogni regione. Ma come definirlo? È quello basso delle regioni virtuose (Veneto e Lombardia) o quello alto della Calabria e della Sicilia? Il primo manderebbe in crisi le altre regioni che non riuscirebbero ad adeguarsi, il secondo farebbe esplodere il debito pubblico; una via di mezzo apparirebbe poco accettabile ai lombardi e ai veneti e comunque farebbe lievitare i costi.
Dilemma di non facile soluzione che fa emergere una contraddizione concettuale. La legge conferisce più poteri ai territori, ma introduce parametri che tendono a cancellare le differenze, uniformando le spese. Questo federalismo assomiglia davvero a quello elvetico o, come pensano alcuni politologi, finisce per indurre dinamiche centraliste e nuove rigidità?
Inoltre: cosa accadrà alle Regioni che spenderanno meno del previsto? Potranno tenersi le somme avanzate? E chi coprirà il buco di quelle meno diligenti? La legge prevede «meccanismi automatici sanzionatori nel caso di mancato rispetto degli equilibri». Come funzioneranno? E come conciliare le punizioni con il principio di solidarietà?
Domande senza risposta. Ogni quanto e come verrà aggiornata la spesa standard? Chi controllerà che non vengano commessi abusi, di nuovo lo Stato centrale o verranno stabiliti organi regionali o interregionali?
Il federalismo implica la possibilità di concorrenza tra le regioni. In che misura il Piemonte o lEmilia Romagna potranno abbassare o alzare le aliquote?
I principi delineati dalla legge, insomma, non bastano. Tutto dipenderà dai decreti attuativi. Tremonti e i suoi tecnici sono chiamati a unopera di ingegneria politica e amministrativa raffinatissima, per scongiurare il rischio che il federalismo fiscale venga snaturato prima ancora di nascere.
Un rischio che non è ipotetico, perché Tremonti dovrà coordinarsi con la commissione parlamentare per lAttuazione del federalismo, la commissione paritetica, il comitato dei rappresentanti delle autonomie regionali, la commissione di Vigilanza, la conferenza permanente per il Coordinamento della finanza pubblica. Un rompicapo. Qui ci vuole il miglior Tremonti...
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