Insieme a Chris Cunningham è certamente il più grande talento visivo nella storia della videomusica. Ma mentre l’inventore delle celebri e terrificanti immagini per il compositore elettronico Aphex Twin ha tentato di darsi all’arte contemporanea, lei Floria Sigismondi tenta il passaggio alla regia cinematografica con The Runaways, biopic dedicato alla cult band femminile degli anni ’70. Film uscito in America lo scorso aprile, imminente sui nostri schermi.
Nata a Pescara nel 1965 Floria Sigismondi è figlia di cantanti lirici che lasciano l’Italia quando ha solo due anni. Si forma a Toronto frequentando la scuola d’arte. Per caso durante una tournée in Canada, Marilyn Manson vede un clip per un gruppo rock locale rimanendo folgorato da uno stile che unisce l’ossessione per la biotecnologia e le mutazioni antropomorfiche, temi assai ricorrenti negli anni ’90. Chiama così la giovane videomaker a studiare la sua immagine e a dirigere i video di due singoli Tourniquet e Beautiful People: da qui nasce uno linguaggio impregnato di atmosfere gotiche e fantascientifiche da Day After mescolato alla passione per il melodramma, l’unione di tragico e comico, citazioni dalla storia dell’arte antica e moderna.
I videoclip della Sigismondi puntano in parte sulla storia grandguignolesca e orrorifica, in parte sulla disseminazione di elementi arguti che solo un pubblico colto potrà riconoscere e apprezzare. Si va dalle atmosfere buie e tetre delle pittura nordica del Cinquecento ai chiaroscuri del Barocco, dal cinema surreale di Bunuel e Dalì al psico-gotico di David Lynch, passando per Giulietta degli spiriti di Fellini, i cartoon di Tim Burton e le follie magiche di Alejandro Jodorowsky. Citazioni che spesso non hanno relazione diretta con il brano musicale e arricchiscono la trama di effetti imprevedibili, discostandosi dal minimalismo e dalla freddezza che ha pervaso anche il video musicale d’autore.
Mentre gira per solisti e gruppi, Sigismondi compie un attento lavoro di backstage che spesso sfocia in fotografie esposte in gallerie e musei alla stregua di opere d’arte (in Italia una sua personale a Torino nel 2004). Il riferimento più ovvio è al Surrealismo, tra le poche avanguardie a considerare centrale la rappresentazione dell’immagine. Le maschere ovali calzate sulla testa dei personaggi di In My Secret Life di Leonard Cohen sono ad esempio ispirate ai dipinti metafisici di de Chirico e Carrà (e curiosamente riprese da Vanessa Beecroft in una performance del 2001). Torna spesso il motivo della bambola, giocattolo scandaloso dagli evidenti contenuti sessuali, mutuato da Hans Bellmer, come pure il gioco del Cadavere Squisito con cui i Surrealisti sezionavano e rimontavano una figura umana in tre parti. Allo stesso modo passano in questo video diverse immagini familiari all’arte contemporanea, atmosfere che vammi da Paul McCarthy a Damien Hirst, da Matthew Barney a Cindy Sherman, talora ricorrendo a illustri collaborazioni, come nel caso di Little Wonder per David Bowie, circondato dai pupazzi video-sculture di Tony Oursler mentre indossa gli abiti new gotic di Alexander McQueen.
I lavori della Sigismondi trasudano una fisicità che va ricondotta alla Body Art degli anni ’70 riletta nella chiave estetizzante degli anni ’90, tendenza cui non sono estranei fenomeni quali la pubblicità e la politica, dove la sintesi di tragico e comico si rivela nel grottesco. È forse questo il motivo per il quale di frequente aleggia la maschera del dittatore (con riferimenti a Orwell e a Brazil di Terry Giliam): così in Megalomanic degli Incubus, sullo sfondo di vecchi filmati e manifesti della seconda guerra mondiale e nel citato Beautiful People per Marilyn Manson. Il capolavoro dell’autrice pescarese è forse il clip per i Sigur Ros, struggente e malinconica cronaca del dopo-bomba in un paesaggio tossico e infuocato dove, nonostante tutto, i bambini continuano a giocare spensierati.
Insistito il ricorso a scenari di architettura industriale (ad esempio per gli Interpol) o l’abbondanza di metafore favolisiche (favole per adulti si intende) che ne segnano lo stile maturo, come nei video per White Stripes e Raconteurs. Passata dall’indie al mainstream, Floria non ha alcun problema nel collaborare con pop star molto commerciali, tipo Christina Aguilera di cui reinventa letteralmente l’immagine in chiave dark nei video Fighter e Hurt. Oggi, infine, la svolta nel cinema, seguendo una linea già tracciata da altri specialisti del genere come Michel Gondry e Spike Jonze.
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