La folla acclama il boss in manette: «Benefattore»

Reggio CalabriaSu tutti svettava un bimbetto bruno, issato sulle spalle del papà. Avrà avuto cinque o sei anni. Sorridente, si sbracciava per salutare e mandare baci al nonno. L’eroe che gli uomini «cattivi», i poliziotti, hanno portato per sempre in prigione. Gli avranno raccontato così i suoi familiari, il drappello di parenti di Giovanni Tegano che, ieri mattina, si è riversato sul corso Garibaldi, a Reggio Calabria, per applaudire il superlatitante finito in manette nella serata di lunedì scorso. Erano almeno duecento: donne, uomini, ragazzi e anche i bambini, assiepati dietro un cordone di poliziotti ad aspettare il trasferimento dalla questura in carcere del boss del quartiere Archi. L’ultima occasione per vederlo e salutarlo. Quando Tegano ha fatto capolino sulle scale, dalla strada si è levato forte un applauso accompagnato da urla d’incoraggiamento.
«È un uomo di pace» si sgolava a ripetere una donna di mezz’età, capelli biondi raccolti a coda di cavallo. «Sei la nostra vita», urlavano altri. Il boss, con l’aria distinta di un settantenne che sembra aver fatto tutt’altro nella vita che ordinare omicidi, ha risposto serenamente al saluto e ai sorrisi e poi s’è infilato sulla macchina della polizia per farsi portare in carcere. L’assiepamento di parenti si è presto dissolto lasciando, però, un senso di sconforto e di amarezza a chi, poco dopo, si è ritrovato a commentare l’episodio. Più fiducioso, il procuratore capo di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, che si è augurato che al prossimo arresto di un boss si possa assistere alla scena opposta.
Loro, i segugi che per mesi sono stati col fiato sul collo del boss ieri erano stravolti dalla stanchezza, ma felici di avere portato a termine una missione quasi impossibile. Sono i ragazzi della Sezione catturandi della squadra mobile reggina e quelli del Servizio centrale operativo. Una squadra speciale messa in piedi all’indomani della strage di Duisburg per stanare i latitanti.
Per 17 lunghi anni, Giovanni Tegano è riuscito a sfuggire alla cattura coperto da una fitta rete di fiancheggiatori. Cinque persone erano con lui, lunedì sera, nella villetta di Terreti, il quartiere alle falde dell’Aspromonte, dove il boss si nascondeva. C’erano Giuseppe e Antonino Morabito, i padroni di casa, imprenditori edili con vari precedenti, il genero di Tegano, Carmine Polimeni, e altri due uomini, Giancarlo Siciliano e Vincenzo Serafino. Quando ha sentito entrare i poliziotti, Tegano ha tentato di nascondersi in un’altra stanza, al buio, ma il faro acceso dagli uomini della polizia l’ha presto trovato. Il superlatitante, condannato all’ergastolo da tribunale di Reggio Calabria nel 1993, aveva addosso un coltello a serramanico e una pistola col colpo in canna, ma ha capito subito che, in quel contesto, non gli sarebbe convenuto usarli. È finita così, sotto la bellissima luna piena che illuminava l’Aspromonte, la lunga vita alla macchia dell’ultimo capo carismatico della ’ndrangheta. Uno dei pochi ancora in vita che ha partecipato alla guerra di mafia che alla fine degli anni 80 ha insanguinato Reggio.

Per diciassette lunghi anni ha comandato gestito è affiliato adepti alla sua cosca. Lui capobastone indiscusso di quella ’ndrangheta sanguinaria che, tra gli anni ’80 e ’90, nella sola Reggio Calabria, fece un migliaio di morti ammazzati.

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