Il format della Tv generalista in piena crisi di nervi

Nel mese che ha sconvolto la Tv, come probabilmente, tra qualche anno, gli storici della televisione definiranno le settimane di quest'inizio stagione, sono accaduti tanti piccoli - e meno piccoli - fatti che, pur percorrendo strade diverse, convergono nella stessa direzione. Il risultato sembra portare ad un'unica conclusione: il modello, si potrebbe dire il format, della televisione generalista mostra i primi segnali di cedimento. Di che cosa era composto questo format? Di alcune certezze consolidate e magari anche un po' pedanti. Alla base di tutto c'era la certezza del palinsesto, costituito di appuntamenti fissi: il film in quel dì, il varietà in quell'altro, la fiction e l'informazione in quell'altro ancora. Ora le trasmissioni cambiano giorno a catena (come nel caso di Reality Circus o Distretto di polizia), rimbalzano da una sera all'altra spesso suscitando la rivolta degli aficionados, senza che nemmeno i giornali e le riviste specializzate riescano a seguire il domino dei reality, la rumba dei telefilm. Questi continui cambiamenti, causati dall'iper-concorrenza non solo tra Rai e Mediaset ma anche tra i conduttori e tra le società fornitrici dei programmi (Endemol, Magnolia, Triangle ecc.), hanno minato la ritualità del palinsesto rendendo sempre più friabile l'idea che fosse una sorta di agenda del telespettatore.
Un secondo sintomo che stia accadendo qualcosa di inedito nel dispositivo della tv generalista è la cosiddetta caduta degli dei, la perdita di credibilità, di forza d'urto o di penetrazione dei big più tradizionali. A Paolo Bonolis e Amadeus, ora si aggiunge anche Gianni Morandi. Il quale meriterebbe un discorso a parte, ma qui val solo la pena di dire che, ormai, in questa nuova televisione, la liturgia dell'one man show - con il monologo-omelia, le canzoni e le ospitate più o meno originali per coinvolgere il pubblico - funziona se a celebrarla è un personaggio davvero carismatico, in qualche modo altro rispetto alla tv corrente. Altrimenti anche lui viene riassorbito dal blob della normalità, subisce l'impazienza dello zapping, patisce la curiosità di andare a vedere che cosa fanno altrove... Restando nel campo delle liturgie un po' logore, in materia di informazione, anche la funzione officiata da Santoro comincia a mostrare qualche segno di logoramento (ma in questo caso si può parlare di necessità di rodaggio)...
Insomma, è come se - fine della ritualità dei palinsesti, caduta degli dei, consunzione delle liturgie, anche quelle estenuanti dei reality di tre-quattro ore (non a caso tutti fatti che si descrivono con un linguaggio mutuato dalla religione) - si stesse assistendo a una sorta di laicizzazione della televisione, soprattutto del modo di guardarla. Come alcuni osservatori hanno già suggerito, fatto salvo lo scadimento di qualità e il degrado di contenuti cui abbiamo assistito negli ultimi anni, il detonatore finale è stato innescato al di fuori della tv generalista. Si potrebbe dire che sono gli altri media a minare le certezze della televisione tradizionale. In una parola, è l'altro - il fuori-format - a urgere il cambiamento. L'altro, inteso come Internet, come «altre emittenti satellitari», leggi Sky, in lenta e progressiva espansione non solo quando c'è l'esclusiva del campionato di calcio, ma anche quando c'è la prima di un film importante o il debutto di una serie cult. E chissà se il campione di rilevamento dell’Auditel si è adeguato a questi nuovi utenti ibridi del mezzo. È una progressiva erosione che riduce la platea della tv in chiaro, ma che cambia anche il modo di guardarla. È come se, lentamente, il telespettatore che naviga su Internet e scorrazza sui canali tematici, cominciasse a chiedere qualcosa di diverso al suo totem: meno coinvolgimento emotivo, meno condivisione ideologica, meno impegno in cambio di più divertimento, più informazione competitiva, più complicità. Così, soprattutto nel pubblico più avvertito, la fruizione del mezzo diventa più pragmatica, più smaliziata, fino a cambiare la metrica dei programmi che funzionano: i telefilm di culto (Dr. House, Csi, Lost, 24...), le rubriche di approfondimento più agili (Report, Otto e mezzo...), i programmi di attualità leggeri ma con fosforo (Le Iene, Le Invasioni barbariche, Che tempo che fa...).
Infine, l'ultimo esempio che, da una visuale diversa, sembra confermare questa tendenza, è l'incursione di Fiorello, atterrato su Raiuno proveniente dalla radio. Lo showman più desiderato del momento (pure dai direttori di rete ospitanti) annuncia nuovi blitz, chissà, e anche lui comincia a insinuarsi come un virus corsaro nel pachiderma della tv generalista.
La quale, per ora, a tutti questi attacchi esterni reagisce nel modo più scontato: urlando e dibattendosi come un animale ferito.

Cos'altro non sono i nervi tesi di certi conduttori e conduttrici e il loro fare da padroni assoluti dell'etere, l'allungarsi a notte fonda dei reality di prima serata e le risse da saloon cinicamente programmate, cui abbiamo assistito negli ultimi giorni?
Tutto fa pensare che ne vedremo ancora di belle.

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