Milano «Giuro di essere fedele alla Lombardia nel rispetto della Costituzione italiana e nell’osservanza leale dello Statuto d’autonomia. Giuro di adempiere - con tutte le mie forze - a tutti i miei doveri nell’interesse delle nostre comunità e dei nostri cittadini per garantire e rafforzare, in Italia e nel mondo, i primati e le eccellenze che la Lombardia ha saputo raggiungere». Le penne a sfera argento non scrivono sulle pergamene e così, dopo aver pronunciato il giuramento, i sedici assessori e quattro sottosegretari della nuova giunta Formigoni sono costretti a passarsi la stilografica di Massimo Zanello. A cui è stata affidata la delega al Cinema, arte oggi particolarmente cara a Umberto Bossi che dopo il film sul Barbarossa vuol rilanciare la produzione d’ispirazione padana. E fare a Milano una nuova Cinecittà.
La Lombardia è terra di giuramenti. E chissà se stendendo il testo di quello che ieri ha chiesto di recitare solennemente, il governatore Roberto Formigoni ha pensato a quello di Pontida. Anche allora era aprile (per la precisione il 7) in quell’anno 1167 quando vicino a Bergamo una cerimonia sancì l’alleanza tra i Comuni lombardi contro il Sacro Romano Impero di Federico Barbarossa. Quella volta nacque la Lega lombarda. Questa volta, racconta chi frequenta i retroscena del Palazzo, il giuramento dovrebbe servire a evitare l’assedio della Lega al Pirellone, sede della Regione Lombardia riconquistata per la quarta volta da Formigoni; che con un vice della Lega, (il deputato Andrea Gibelli) dovrà convivere in omaggio alla ragion di Stato, ma non ha nessuna intenzione di finire nella tenaglia dei governatori del Carroccio, Luca Zaia in Veneto e Roberto Cota in Piemonte. Prima la Lombardia, dunque, poi tutto il resto. Compresi gli interessi di parte. Patti chiari e giunta lunga.
Questo giuramento, assicura Formigoni, «è un impegno solenne di fronte ai cittadini» per realizzare tutti i 600 progetti del programma elettorale nei prossimi cinque anni. «Solo un modo - spiega - per solennizzare l’inizio di un duro lavoro. Siamo una coalizione riformatrice e anche a livello nazionale vogliamo modificare la Costituzione». Parole condivise dal vicepresidente del Carroccio Andrea Gibelli che sottolinea «l’assoluta sintonia con la coalizione che sostiene la giunta Formigoni», così come «la fedeltà alla Lombardia, nel rispetto della Costituzione e dello Statuto, è un elemento che fa parte dello spirito e della tradizione di una forza politica identitaria e di riforma». Come un fantasma, ma non troppo, aleggia il «federalismo». Senza paura, per una regione così ricca, dell’accusa di egoismo. «Noi - si difende Formigoni - vogliamo continuare a essere la regione trainante dell’intera Italia. La solidarietà verso chi ha di meno? È nel nostro Dna. Ma non più nelle forme assistenzialistiche del passato che hanno portato tanto nocumento sia a chi dava che a chi riceveva». E il federalismo? «È la declinazione della solidarietà in modo più efficace».
Parole come zucchero per il vicepresidente Gibelli e per Monica Rizzi, anche lei leghista e unica donna in giunta. Poco, ma già un passo avanti rispetto alla precedente con donne zero. «La prossima volta faremo meglio», ironizzò Formigoni. Ieri l’ha voluta a fianco durante il giuramento e al termine le ha regalato un mazzo di rose bianche. Casualmente intonate all’impeccabile tailleur della Rizzi, astro nascente della Lega in Valcamonica e che ha guidato Renzo Bossi, il figlio del senatùr, in una difficile campagna elettorale nel collegio di Brescia. Portata a termine, dal figlio del «capo», con un pieno di preferenze che ha tappato la bocca anche ai militanti più critici. A chiudere la pattuglia dei leghisti, il medico personale di Bossi Luciano Bresciani (Sanità), Daniele Belotti (Territorio) e Giulio De Capitani all’Agricoltura, nuovo settore di punta del Carroccio che l’ha pretesa anche in Friuli, Veneto, Lombardia e Piemonte. Cinque assessori alla Lega, dunque, e undici al Pdl perché Formigoni ha rifiutato la formula veneta del metà e metà. Di area ex An sono Romano La Russa e Carlo Maccari, mentre gli ex Fi sono Giulio Boscagli (Famiglia), Raffaele Cattaneo (Infrastrutture), Romano Colozzi (Bilancio), Stefano Maullu (Commercio e Turismo), Massimo Buscemi (Cultura e Giovani), Gianni Rossoni (Istruzione), Marcello Raimondi (Ambiente), Alessandro Colucci (Parchi e Paesaggi) e Domenico Zambetti (Casa) della nuova Dc passato poi al Pdl. Per chiudere un riferimento a indagini e sentenze dei magistrati.
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