Roma

Il fotogiornalismo è arte

Il fotogiornalismo incontra la foto-arte in una sottile commistione di stili, che non trascura contaminazioni cinematografiche all’insegna del surrealismo: tra bianco e nero e colore, in una selezione di scatti diversi e distanti per tema e stile, il museo di Roma in Trastevere, fino al 28 maggio, ospita la mostra «World Press Photo 09», che riunisce gli scatti dei sessantadue fotografi vincitori - sei italiani - dell’omonimo premio, testimoniando gli orientamenti del fotogiornalismo. L’ultimo «trend» della fotografia d’informazione è uscire da canoni e stereotipi della cronaca, per adottare modalità e tecniche vicine all’immagine d’arte, nel tentativo di raccontare storie, ma più ancora trasmettere emozioni. «Non importa quale sia il punto di vista del fotografo - dice Paul Ruseler, rappresentante della World Press Photo Foundation, che ha portato la mostra a Roma in collaborazione con l’agenzia Contrasto - conta che il pensiero sotteso allo scatto sia evidente. La foto classica lascia il posto a una innovativa attenzione per i dettagli. Addirittura, in taluni casi, il soggetto è raccontato, non mostrandolo. Si comunica senza parole e si trasmettono sensazioni».
Articolato in dieci sezioni, dalla vita quotidiana alla natura, dall’attualità ad arte e sport, il percorso va alla ricerca dell’«impatto» estetico e emotivo, testimoniando storia e storie dell’anno trascorso. Così Anthony Suau, vincitore della Foto dell’anno 2008, racconta la crisi in America, aumentando con la scelta del bianco e nero il contrasto del soggetto: uno sceriffo entra armato in una casa per controllare che gli inquilini sfrattati l’abbiano effettivamente lasciata. Chiba Yasuyoshi usa colori accesi per descrivere l’atmosfera surreale di conflitti tra tribù in Kenya. Davide Monteleone - primo premio nella categoria General News - prosegue la sua ricerca nei territori russi con un reportage in Abcasia nel quindicesimo anniversario dell’estromissione delle truppe georgiane: «Conoscevo il territorio, avevo una vaga idea di cosa cercavo, ma, come sempre, mi sono lasciato sorprendere da luoghi e persone». Tra i suoi scatti, parate militari e matrimoni, in un mix di guerra e speranza. Così Roger Cremers trasforma in «spettacolo» Auschwitz con visitatori intenti solo a fare foto, Steve Winter segue le «ombre» del leopardo delle nevi, Li Jiejun fa rivivere grandi foto di guerra, inscenandole con pupazzetti, Franck Robichon trasforma un salto triplo in una «scultura» di sabbia.
Non mancano ritratti «vip» di Barack Obama e Dennis Hopper. Grande attenzione è dedicata alla Cina, sia come soggetto che per l’insolita partecipazione di molti autori cinesi. «Uno degli obiettivi della Fondazione - conclude Ruseler - è far sì che siano i fotografi locali a raccontare le loro realtà. Sono quelli che le conoscono più approfonditamente e possono farle conoscere meglio al mondo».

Emozionando.

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