Politica

Il Fréjus sarà chiuso per mesi

nostro inviato al Fréjus (Torino)
A metà strada si spegne la luce. Nemmeno venti gradi fuori, all'aria aperta, dentro ce ne sono ancora quaranta. È torrida questa galleria di confine che odora di morte e terrore. Ventiquattr’ore dopo la fuliggine invade i polmoni, l'asfalto ha fatto le bolle, gli scheletri di quelli che fino a ieri erano bisonti della strada, giacciono a cento metri di distanza l'uno dall'altro. Cade un calcinaccio, ma non fa rumore. I resti delle gomme liquefatte lo attutiscono, le lamiere sono solo polvere di ferro. Il Renault Magnum giace come un sepolcro sulla parte destra del tunnel. Del camion restano la cabina di guida e le porte posteriori, che sembrano due cornici di quadri funebri, tutto il resto non c'è più. All'orizzonte si vede solo quel che resta del diesel che sabato sera ha causato il rogo all'interno del traforo, provocando la morte di due giovani autisti, uno slovacco e uno sloveno. A poche decine di metri un «luogo sicuro», il numero sei, uno degli otto rifugi illuminati dalle alogene e segnati dai cartelli verdi dipinti sulle pareti. Le scritte non si vedono più, incenerite come le vite dei due camionisti. Erano a pochi metri dalla salvezza, ma non ce l'hanno fatta.
Il fumo nero che stringeva occhi e polmoni, il calore che scioglieva il cemento spaccandolo fino a venti centimetri, li hanno abbattuti a pochi metri dalla loro salvezza. Uno di loro è arrivato fin quasi alla porta, non è riuscito ad aprirla. Le porte tagliafuoco lo avrebbero protetto, passato il corridoio lungo una quindicina di metri avrebbe trovato aria «pulita». Quando i soccorritori lo hanno portato dentro respirava ancora. Un ultimo rantolo, il tempo di trasportare la maschera d'ossigeno di uno dei pompieri ed è morto. L'altro, forse il suo compagno di guida, semicarbonizzato era quasi in mezzo alla galleria. Le mani rivolte al cielo, come artigli aggrappati alla vita.
È qui, in questo tratto di montagna bucata che sabato, alle 17,50, si è consumata la tragedia. Il viaggio nell'inferno del traforo annerito con gli scheletri dei mezzi fusi dura una decina di minuti a bordo di una Renault Mégane guidata da un vigile del fuoco francese. All’inizio sembra di entrare in una galleria come tante. Ma le prime avvisaglie del dramma si avvertono con l'affievolirsi delle luci. All'orizzonte appare un telone con la scritta «Conserva Pietro e Figli», poi subito dopo ce n'è un altro con il nome «Panam» e uno con l'insegna «Fro Star», ma non basta. C'è n'è un quarto con la scritta «Cercans». È ciò che resta dei quattro Tir bruciati, tre italiani e uno portoghese. Al km 5,600 appare lo scheletro del camion dei pneumatici. Incredibile, qualche gomma sembra ancora intatta.
Il dramma non si vede soltanto, si sente. La macchina sobbalza schiacciando l'intonaco caduto dalla soletta superiore: per quasi un chilometro il manto stradale sembra un campo di macerie. Lungo i muri anneriti l'impianto elettrico è saltato: per terra i tubi usati dai vigili del fuoco per domare le fiamme. Il buio è profondo, ma dopo neanche cento metri, sulla corsia che dall'Italia porta alla Francia, si staglia il secondo scheletro, quello del camion che trasportava le mozzarelle. Il carico è andato tutto distrutto, ma qualche confezione si vede ancora. Qualche pezzo di pneumatico sfilacciato fa ricordare che era un camion con ruote giganti. Passa qualche decina di metri ed ecco il fantasma del Tir carico di ferro. È il più bruciato di tutti. «C'è qualcosa di strano, di anomalo, questo era il Tir più lontano», osa un pompiere italiano. Difficile intuire quale fosse il muso e quale il rimorchio. È probabilmente il veicolo su cui viaggiavano le due vittime. Poi torna il nulla per quasi cinquecento metri. L’ultimo segnale del chilometro del terrore è l’autoarticolato che trasportava la colla. La cabina è completamente distrutta, ma la cisterna è salva. Ci hanno pensato i vigili del fuoco italiani e francesi a evitare il peggio, spegnendola prima che sprigionasse altri effluvi mortali. Ci hanno rimesso un'autopompa, rimasta bloccata in mezzo alla strada, ma è andata bene. La tensione comincia a smorzarsi. Torna la luce. L'ultima avvisaglia del tremendo rogo è la navetta per l'evacuazione che, rientrando verso l'Italia, è stava investita dal fumo denso. Nonostante l'autista avesse in dotazione una camera a raggi infrarossi, ha perso la visibilità e la navetta è andata a sbattere contro il muro. I suoi occupanti sono fuggiti a piedi dalla galleria.

E si sono salvati.
Andrea Acquarone

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