Fuoco, fiamme e Button campione del mondo

E per fortuna che a San Paolo, Brasile uggioso e grigio, è successo di tutto. E per fortuna che la lotta per il mondiale è finalmente terminata. Grazie al Dio motoristico possiamo archiviare con scarso giubilo e vistosa mestizia la pratica iridata e il campionato più cenerentolo e assurdo degli ultimi vent’anni. E per fortuna che, quasi fosse un colpo di coda, la formula uno di questa disgraziata stagione motoristica, ci ha regalato un Gp vero. Una corsa con un pilota a vendere l’anima al diavolo pur di passare e sorpassare e andare ad acciuffare quel titolo mondiale che pareva fargli marameo e allontanarsi. Perché Jenson Button, dopo aver vinto 6 delle prime 7 gare, sembrava ormai schiavo del braccino e della paura di diventare campione. Ieri si è ribellato e ce l’ha fatta, complice la iella del suo compagno e rivale nella lotta iridata, Barrichello (alla fine 8°, colpa anche di una foratura): «Stupefacente... non lo avrei mai detto», urlerà Jenson, «perché ho sempre pensato che i campioni di F1 fossero diversi da me...».
E per fortuna che, oltre a lui, persino i colleghi un po’ viziati del Circus hanno smesso i panni da impiegati. Merito anche di una pista vera. Per cui - visto che nessuno si è fatto male - plauso solenne a questo festival di sportellate, di paura e coraggio. Applauso a Raikkonen, missile da quinto a terzo alla prima curva e poi sbattuto verso l’esterno da Webber che, per di più, ha pure vinto. Il canguro gli ha chiuso la porta e rotto l’alettone; senza questi cadeau, Kimi avrebbe potuto giocarsi, se non la vittoria, il podio. E applauso, comunque e sempre, al povero Fisichella costretto, subito dopo il via, ad evitare la ballerina Kovalainen, sfrecciata in tutù e testa coda davanti a lui. Massì, e applauso a Trulli, stoico perché riesce a cavarsela dopo il tremendo botto innescato da Sutil. Trulli miracolato come Alonso che ha dovuto evitare, finendo per margherite, sempre il di cui sopra Sutil. E bene, bravi, bis per lo show regalato dall’italiano e dal tedesco quando sono quasi venuti alle mani. E poi, su tutto, ancora lui, mangiafuoco Raikkonen, finito tra le fiamme durante il pit in regime di safety car. Fuoco generosamente elargito dalla McLaren di Kovalainen, frettoloso nel far rifornimento e ripartire con attaccato il serpentone della pompa (vedi Massa lo scorso anno) a sprizzare benza sul finnico. E di Nakajima palla da bowling senza guida lanciata sui birilli-colleghi?
Ecco. Pensate se non fosse successo tutto questo, ora saremmo qui a parlare soprattutto di loro. Loro i politici, i manager, i dirigenti, gli ex qualcosa a litigare e a sfidarsi e a dire cose pesanti. Perché c’è Todt che si scanna con Vatanen che si scanna con Mosley per l’elezione Fia prevista venerdì; perché c’è Briatore che proprio oggi, a Parigi, intenterà un’azione legale contro la sentenza Fia per il caso Singapore: l’incidente volontario di Piquet jr, che l’ha visto solo contro tutti, unico ad essere punito, unico a non potersi veramente difendere e per questo radiato. Un Briatore che dice «in questo affare la Fia si è messa al servizio della vendetta di un solo uomo. Questa decisione è un’aberrazione giuridica e confido nei tribunali francesi per avere una giustizia imparziale». L’obiettivo è ottenere «l’annullamento della decisione Fia e l’obbligo per la Federazione di ritirare le sanzioni», vista la «violazione del diritto di difesa... la violazione delle regole del processo equo...», vista «la mancanza di imparzialità» e una «negoziazione segreta... prima dell’udienza».
Pensate, senza il Gp show di S. Paolo, saremmo qui a parlare solo di questo e di Ecclestone che in Brasile se n’è uscito con una frase leggera leggera: «La morte di Ayrton Senna è stata una gran tristezza, ma si è poi rivelata un bene per la F1.

Molta gente che non aveva mai sentito parlare di questo sport ha cominciato ad interessarsene grazie all’immensa ripercussione dell’incidente a Senna». Probabilmente, seguiranno scuse come mesi fa, quando Ecclestone parlò un filo troppo bene di gente come Hitler. Il Congresso ebraico mondiale ne chiese la testa e lui chiese venia.

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