Perché nelle Cancellerie europee molti sono rimasti in ansia la scorsa notte in attesa dei risultati del referendum irlandese sulla ratifica del Trattato di Lisbona? Semplice: dalla decisione dei 3 milioni di elettori dellisola verde, che si saprà nella tarda mattinata di oggi, dipende non solo la sorte del Trattato stesso, che richiede lunanimità dei Paesi membri, ma levoluzione stessa della Ue. Se infatti lIrlanda (unico dei 27 ad avere dovuto, in seguito a una sentenza della Corte suprema dell87, ricorrere all'approvazione popolare) dicesse di no, alcuni dei nove Paesi che devono ancora procedere alla ratifica parlamentare sospenderebbero liter, il Trattato non potrebbe entrare in vigore il 1° gennaio 2009 come previsto, le elezioni della prossima primavera e la formazione della nuova Commissione dovrebbero svolgersi con le vecchie regole e lUnione si trasformerebbe, per i prossimi cinque anni, in unanatra zoppa.
I governi europei hanno già studiato i possibili rimedi a una bocciatura, ma le vie d'uscita sono molto strette. Il Trattato di Lisbona, infatti, rappresenta già un «piano B» rispetto al progetto di Costituzione rifiutato tre anni fa dagli elettori francesi e olandesi, ed è stato concluso solo dopo faticosi negoziati e vistose concessioni di aut-aut ai Paesi euroscettici. Esso sacrifica gli aspetti formali della Costituzione, ma ne salva le innovazioni sostanziali necessarie a far funzionare la macchina, come listituzione di un presidente del Consiglio europeo in carica per due anni e mezzo e di un Alto rappresentante per la politica estera e l'estensione a nuove materie del voto a maggioranza. Riaprire le trattative multilaterali per trovare una nuova formulazione e affrontare poi una terza volta la via crucis delle ratifiche viene considerato irrealistico. Fare entrare in vigore il Trattato alla data fissata lasciando fuori lIrlanda non è giuridicamente fattibile. Lunica soluzione, perciò, sarebbe di concedere - come è stato fatto per la Gran Bretagna - alcune eccezioni al governo di Dublino, che si è battuto strenuamente per il «sì» e sarebbe la prima vittima di un rigetto, e chiedergli di fare ripetere il referendum su un Trattato modificato, per così dire, ad personam, in autunno.
Neppure questa strada, tuttavia, si presenta agevole, perché gli argomenti cui è ricorso il partito del «no» hanno poco a che vedere con la realtà. Gli irlandesi, cioè, sono stati invitati a votare contro il Trattato perché faciliterebbe lintroduzione dellaborto (falso), obbligherebbe il Paese a rinunciare alla sua tradizionale neutralità (falso), interferirebbe con una politica fiscale che ha attirato ingenti investimenti stranieri ed è alla base della nuova prosperità dellisola (per ora, ogni provvedimento europeo in questa materia richiede lunanimità). Ha fondamento solo lobiezione che, con le nuove regole, i Paesi piccoli - e quindi anche lIrlanda - perderebbero influenza a favore dei grandi: ma questo non è negoziabile.
I più preoccupati per lesito del referendum sono i francesi, che assumeranno la presidenza di turno della Ue il prossimo 1° luglio e hanno già formulato importanti progetti per il loro semestre: varo di una politica comune dellimmigrazione, intensificazione della collaborazione in campo energetico, lancio di unUnione Mediterranea che dovrebbe rinsaldare i legami con i Paesi nordafricani. Inoltre, Sarkozy si stava già muovendo per selezionare il primo presidente del Consiglio della Ue e il nuovo Alto rappresentante per la politica estera. Se Lisbona fosse bocciato, la barca dellUnione sbanderebbe pericolosamente e Parigi dovrebbe limitarsi a tamponare le falle. Con una iniziativa a dir poco anomala, la Francia ha già preparato per questa eventualità una dichiarazione comune con la Germania, che è stata la principale promotrice del Trattato.
Laspetto più irritante è che una decisione di questa portata sia stata presa da una minuscola frazione dei cittadini europei, sulla base di informazioni approssimative e di impulsi irrazionali. Ma questa è la democrazia, e si può solo prenderne atto.
Livio Caputo
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