Il futuro di Vasco: inediti da favola e Festival del cinema

Nel camerino, in attesa di salire sul palcoscenico, Vasco ascolta brani nuovi e parla del docufilm già pronto per Venezia

Il futuro di Vasco: inediti da favola e Festival del cinema

nostro inviato ad Ancona

Toc toc, benvenuti. Il camerino di Vasco è il suo esatto contrario: ordinato e prevedibile. Bibite e acqua, tanta acqua. Qualche giubbotto appeso, di pelle ovvio, una scrivania ricoperta di fogli, un Macbook illuminato e il Bose attaccato a un ipod gonfio di canzoni. Mica diresti che ha appena finito il concerto in uno stadio (il Conero, organizzazione chirurgica di Live Nation) e là fuori ci sono i trentamila che si riprendono dopo due ore e mezzo di rock. È una furia, ecco: il nuovo Vasco non si ferma mai, parla di politica, s’inventa di voler fondare l’Arci Tossico a tutela dei tossicopendenti («Vedrei bene Capezzone come presidente», scherza), srotola strane teorie che dai caschi per le moto arrivano fino ai lager ma non smette mai di pensare a quella cosa là: la musica, che avete capito.

«Sentite qui». «Sentite là». E volume a palla. Sono le due di notte. Ha scritto un brano che si intitola I soliti, Vasco al cento per cento, forse anche meglio di qualcosa dell’ultimo disco, che accompagnerà i titoli del docufilm sulla sua vita, «Da Zocca a Los Angeles», diretto da Alessandro Paris e Sybille Righetti, prodotto da Indigo Film e già benedetto dal Ministero per i Beni e le Attività culturali. «Mi hanno chiesto un brano e mi è venuto questo». Lui lo bofonchia appena, ma sarà presentato alla prossima Mostra del Cinema di Venezia, una sorta di celebrazione di questo rockettaro che è rimasto chiuso in se stesso per trent’anni e adesso ha una disperata (e infuriata, appunto) voglia di raccontarsi per filo e per segno. Lo fa anche qui, a notte fonda in un camerino quasi asettico, filmando tutti con il suo cellulare pronto a postare le immagini su Facebook (lo trovate su YouTube cercando «player embedded») e squadernando l’entusiasmo di un ragazzino alle prime armi. «Fiorella Mannoia ha fatto una grande versione di Sally, io arrabbiato con lei? Non capisco perché: le ho anche scritto un nuovo brano». E vai con il Bose a manetta. Potrebbe intitolarsi Luna, è ancora un provino artigianale e nel testo c’è la tipica donna di Vasco, pronta a ricominciare e ad annacquarsi nei tormenti anche magari riflettendo sulle «cose che adesso ho». C’è, in questo filo conduttore della sua scrittura, la sensibilità dolcissima di un ormai quasi sessantenne che sarà figlio per sempre e ripone nella donna pensieri e nobiltà infantili sublimati fin dall’adolescenza.

Insomma, lui non si ferma, musica non stop, e per fortuna in uno stadio non ci sono vicini di casa altrimenti il volume scatenerebbe maledizioni. Sapete, il rock è rock e se parte un giro di chitarra blues, di quel blues vecchio stile e potentissimo, magari qualcuno potrebbe svegliarsi: qui no. E, se riuscisse un giorno a entrare in qualche disco, il tiro di Cambiare macchina si trasformerebbe in un classico da concerto. Quando lo fa ascoltare, bevendo un succo di frutta, a Vasco Rossi scintillano gli occhi neppure fosse un dodicenne che apre i regali di Natale: è il tocco del musicista, non c’è nulla da fare, e forse anche la sua condanna.

E così mentre, parlando e riparlando, allarga le braccia come fa di solito negli stadi davanti a cinquantamila persone, questo rockettaro celebra anche se stesso e la sua nuova vita all’aria aperta, scombiccherata e folle per noi mortali.

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