Il G20 è alla ricerca di un accordo per risolvere la crisi mondiale più dura

Ma i punti di vista tra Europa e Stati Uniti divergono. Possibile un'intesa sugli hedge fund. Berlusconi: "Il sistema creditizio non blocchi i finanziamenti all'economia reale". La bufera economica: l'Italia fa l'ingresso nella recessione assieme a Eurolandia

Il G20 è alla ricerca di un accordo 
per risolvere la crisi mondiale più dura

nostro inviato a Washington

Il mondo intero, o quasi, si riunisce a Washington, al capezzale dell'economia e della finanza molto malate. Nelle scorse ore, voli di Stato a ripetizione sono atterrati alla base di Andrews, presso la capitale americana, con a bordo i capi di Stato e di governo del G20. Rappresentano oltre l'85% del prodotto globale e due terzi della popolazione del pianeta. Oggi, tutti insieme, i potenti della terra cercheranno di dare una risposta alla crisi, la peggiore che si ricordi dopo quella del lontanissimo 1929. Una risposta che potrebbe rivelarsi a due facce: intesa sugli interventi di stimolo per l'economia reale in recessione; rinvio per la riforma dei mercati finanziari. Si agisce dunque sull'effetto - la recessione - ma non ancora sulla causa, la crisi del sistema finanziario. George W. Bush, che ieri sera alla Casa Bianca ha ricevuto a cena i capi di governo nell'ultimo appuntamento politico internazionale prima del passaggio dei poteri, ha opposto agli europei un’accorata difesa del modello capitalista di mercato definendo un «terribile errore» permettere che pochi mesi di crisi possano minare un successo che dura da sessant'anni. L'unica concessione alle pressioni europee potrebbe essere rappresentata dalla creazione di un nuovo organismo di controllo, un «collegio dei supervisori» - così lo chiama il Washington Post - che metterebbe insieme le principali autorità di regolamentazione al fine di coordinare la sorveglianza sulle principali 30 istituzioni finanziarie mondiali. I negoziatori di Usa, Europa e Giappone sarebbero anche vicini all'intesa per creare un «sistema di allarme preventivo», per riconoscere i sintomi di crisi finanziaria prima che esplodano. Infine, si parla di un maggiore controllo sugli hedge fund. I gestori principali di tali fondi ad alto rischio - George Soros in prima fila - si sono detti d'accordo. È il massimo che l'attuale amministrazione appaia intenzionata a concedere, in attesa che Barack Obama arrivi alla Casa Bianca. Se questo sia poco o molto, dipende dai punti di vista. L'Europa - Germania e Francia, soprattutto - pensa che senza maggiore regolamentazione sui mercati, il ripetersi di gravi crisi finanziarie sia inevitabile. «L'idea che tutto si risolva con la deregulation è passata di moda», ha osservato il presidente francese Nicolas Sarkozy. Washington, con il sostegno di Londra, si oppone a un ritorno al controllo statale dei mercati finanziari. Vedremo quale sarà l'atteggiamento del nuovo presidente, assente dal summit odierno, che ha inviato l'ex segretario di Stato Madeleine Albright a parlare con i leader del G20. È molto probabile, quasi certo, che un nuovo summit economico si tenga in marzo, con Obama nel pieno dei poteri. Accordo pieno, invece, sull'evidenza della recessione globale, alla quale bisogna rispondere con decisione. Ci sarà consenso su questo, al summit. La Germania prepara un pacchetto da 50 miliardi di euro, la Cina ha annunciato un piano da 4mila miliardi di yuan (586 miliardi di dollari). Silvio Berlusconi, accompagnato a Washington da Giulio Tremonti, chiederà che le banche non interrompano il flusso di finanziamento all'economia reale, mantenendo - e se possibile aumentando - il monte crediti alle imprese precedente alla crisi. Le banche centrali si impegneranno a mantenere i mercati liquidi, e a ridurre i tassi d'interesse. «Siamo pronti a fare i passi necessari», ha detto il presidente della Fed, Ben Bernanke. Pur invitati al “summit sui mercati finanziari e l’economia mondiale” così è stato definito ufficialmente l'evento - i paesi emergenti non sono contenti della situazione. Cina, India, Brasile, Russia vogliono maggiore influenza nella decisioni finora dominate dal G7. «Basta con il piccolo club», protestano.

Molti Paesi emergenti sono anche diffidenti rispetto al nuovo ruolo che taluni, la Francia in prima fila, vorrebbero concedere al Fondo monetario internazionale. Il ricordo di alcune violente terapie anticrisi del Fmi brucia ancora in Asia e Sud America. 

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