Gaetani, una «gemma» narrativa degna di Capote

«Colazione al Fiorucci store (Milano)»: il racconto in versi di un amore pulp. Che supera la prova del Nove...

Gaetani, una «gemma» narrativa degna di Capote

Alla fine della terza media ancora «non sa riconoscersi», ignora i suggerimenti degli insegnanti e invece del liceo prende l’istituto professionale per il commercio, indirizzo operatore turistico. Né il greco né il latino: impara la dattilografia, la stenografia, la computisteria. Cinque anni più tardi si diploma con sessanta e stavolta non sbaglia, si iscrive a Lettere: «Non avrebbe potuto fino al ’68, non avrebbe dovuto nel ’75, ma nel ’91 fu mia./ Era la mia verità, la poesia/ Quando un fiume di versi ha rotto gli argini/ io li potevo digitare in fretta».
Colazione al Fiorucci store (Milano) (ed. Lain, pagg. 284, euro 15) mette a nudo il cuore appassionato di Gemma Gaetani narrando «perlopiù in endecasillabi» (ma niente paura, fanno romanzo: e poi, i prischi romanzieri non componevano forse in alessandrini?) la storia d’amore e dolore nata da una tesi di laurea su un giovane cannibale di cui è facile smascherare l’incognito, visto che si firma con uno pseudonimo, nasce come poeta e vive a Milano. Per raccogliere materiale Gemma frequenta un corso di scrittura creativa tenuto dal giovane autore, sperando che tra uno sguardo in tralice e un colpo di lima al manoscritto Cupido scocchi la sua freccia. Del resto lo scoglio più minaccioso era già stato superato: rifiutare le indicazioni del proprio relatore che preferiva una tesi su Luca Canali, o addirittura su Pascoli, e convincerlo che il cannibale non era, «come avrebbe detto Croce, un esempio di non-letteratura», ma tutt’al più la vittima di una «poetica del fanciullone». L’incontro, dopo alcune mail e un paio di appuntamenti davanti al duomo, prosegue sotto le lenzuola: «E alla fine eri andata a dormire con lui/ e ti eri messa tra il lenzuolo di sopra e il copriletto/ e dovevate chiacchierare ma tu eri diventata loquace come un pesce/ morto/ stecchito/ da secoli/ fossilizzato su una bella pietra». Nonostante la timidezza la storia decolla, lei lascia Roma e per le necessità del trasloco si trasforma nella «ragazza con la valigia». Viaggio dopo viaggio, stipa nel trolley tutta la sua vita anteriore e si trasferisce a Milano. Quando il fidanzato è intemperante è facile apostrofarlo: «Hanno ragione quelli che ti stroncano»; di solito però è gentile, le manda bigliettini firmati «la tesi umana», le elenca gli aspetti progressisti dell’Ipercoop. La compenetrazione tra metrica e vita è totale: se lui interrompe un’azione è un enjambement, se lei sogna di partorire immagina di essere trapassata da un bambino il cui diametro ha le dimensioni «più o meno di un settenario doppio in Times New Roman 20».
Colazione al Fiorucci store (Milano) è molte cose: per cominciare, un incantevole walzer col racconto di Capote. A Milano non mancano le gioiellerie e Tiffany ha aperto anche a Roma, ma Fiorucci vende le manette di peluche rosa, vuoi mettere. Poi un poema effervescente che mescola Giudici e Panella senza mai girare a vuoto. E infine un piccolo capolavoro pop: del resto, cosa c’è di più pop che fidanzarsi con l’argomento della propria tesi di laurea? Non possiamo soffermarci sulla seconda parte del libro, troppo intima e struggente per venirne a capo in una riga. Quando l’idillio finisce, tutto, come direbbe Hegel, precipita in un risultato quieto.

Se non vi va di comprare il libro, imparate almeno a memoria l’anello di questi versi: «Si staccano i telefoni e i legami,/ ognuno in sé ritrova la sua forma./ La preferenza libera ritorna,/ i patti e i compromessi ormai lontani».

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