Garlasco, sotto processo finiscono i giornalisti

Matrix dedica una puntata intera all’omicidio di Chiara Poggi e il conduttore fa la morale alla stampa: "Ad agosto i quotidiani erano vuoti e bisognava riempirli". Mentana critica i media: troppo morbosi

Garlasco, sotto processo finiscono i giornalisti
Può il Valium battere la Mitraglietta? Sì, può accadere in tivvù, seconda serata, lunedì diciassette settembre. Prodi e le sue flebili esternazioni in Porta a porta hanno superato ascolti e share di Matrix, 20,29 a 16.89. La notizia, in verità, non è questa, ognuno sceglie, sente e vede quello che gli garba. Qui si cerca di capire come e perché Enrico Mentana, detto mitraglietta, per la velocità del dire e del pensare, abbia deciso di mettere su una puntata del suo programma prendendo a pretesto, secondo lui, il delitto di Garlasco ma non volendone assolutamente parlare, sempre secondo lui (a parte l’oretta iniziale con un lungo filmato e tutti i particolari, pettegolezzi compresi) se non per criticare «la stampa», «i giornali» che attorno alla vicenda hanno detto, scritto, insinuato di tutto, sbattendo il mostro in prima pagina.

A completare il dibattito vanno segnalati il procuratore Alfonso Lauro, in solitaria voce, seguito dal magistrato Giuseppe Ayala e da Barbara Palombelli mentre sullo schermo in fondo allo studio stava il faccione inquietante di Alberto Stasi, il fidanzato di Chiara, tanto per restare in tema rimanendone ai margini, con il titolo della serata «Presunto colpevole».

La tesi sostenuta dall’ex direttore del Tg5 era singolare: «Il fatto è avvenuto il tredici di agosto, i giornali erano vuoti in quel periodo dunque bisognava riempirli e così è stato fatto con tutti i particolari e i protagonisti di questa vicenda».

Non so quali giornali leggesse Mentana durante le sue vacanze che coincidevano con il delitto di Garlasco ma cito a memoria e a caso alcune notizie di cronaca successive a quel tredici di agosto: guerra tra pm e polizia per il killer di Sanremo, striscioni contro i magistrati al funerale della ragazza di Sanremo, diciotto milioni di giocattoli della Mattel ritirati dal mercato e crollo in Borsa dell’azienda medesima, un giornalista italiano ucciso nel metrò a Parigi, un bimbo lasciato nel carrello della spesa al supermercato, Valentino Rossi replica alla stampa, cinque morti in differenti incidenti stradali causati da guidatori ubriachi e drogati, feriti e morti nel crollo di una terrazza abusiva ad Amalfi, un nonno rom ammazza due nipoti, moglie e marito massacrati in una villa nel Trevigiano, duecentotrentasei incendi nel centro sud, un parroco padre a Monterosso. È il bignamino di dieci giorni soltanto, successivi alla data del delitto, roba piccola per Mentana che ha voluto così portare un colpo al bersaglio grosso: il desiderio estivo di scoop, la fame, in assenza di fama, di notizia, il gossip e le sue perversioni. Lauro ha confortato la tesi: «Ho chiesto ai giornalisti di fare un passo indietro e invece».

Invece hanno continuato a lavorare, alcuni bene, altri male. Mentana e Lauro non hanno mai specificato chi e quando, non hanno cioè citato quale testata, quale cronista, quale direttore, quale tiggì è colpevole e per niente presunto: forse per rispetto, per amicizia e/o parentela d’azienda e di ideologia. Al grido di piove governo ladro si è allestito il teatro mentre sul palcoscenico la commedia era un’altra.
Insomma Matrix si è voluto chiamare fuori dalla gabbia di iene però smarrendo, durante la fuga, un episodio analogo che lo riguarda da vicino, uno scoop in piena regola, realizzato nel gennaio scorso.

Mentana riaprì il caso di Simonetta Cesaroni, uccisa in via Poma a Roma il sette di agosto del millenovecentonovanta. Secondo la ricostruzione di Matrix gli inquirenti conoscerebbero il nome dell’assassino grazie al codice genetico isolato dai carabinieri del Ris sul corpetto della Cesaroni e il codice sarebbe da attribuire a un uomo vicino a Simonetta. Seguiva, in trasmissione, la fotografia del fidanzato. Come diceva Lubrano la domanda sorge spontanea: chi era il colpevole? Non ricordo se a data undici gennaio duemila e sette i dibattiti televisivi di informazione fossero vuoti e dunque fosse necessario riempirli di ogni, sta di fatto che Mentana fece il suo lavoro, che sa fare benissimo comunque e dovunque, sia chiaro, e soltanto il piemme titolare dell’inchiesta, Roberto Cavallone, si ribellò e preannunciò querela.

L’altro magistrato, Alfonso Lauro, capo della procura di Vigevano, dinanzi alle domande dei giornalisti sulla lentezza dell’inchiesta aveva replicato: «Abbiamo anche altro da fare».

Oggi dice che allo stato delle cose non ci sono prove e moventi per individuare il responsabile e che soltanto a metà ottobre i Ris «che non sono quelli di CSI, non fanno le indagini in mezzora!», «anche perché non c’è il montaggio» ha spiegato Mentana, i Ris, dicevo, forniranno le conclusioni del loro lavoro. Per il momento la vicenda andrebbe archiviata.

Dunque se i giornalisti non hanno fatto un passo indietro, la Procura non è riuscita a fare un passo avanti. E non gradisce la presenza quotidiana dei cronisti che «seguono» il suo operato. Per fortuna Enrico Mentana, che ai tempi della staffetta con Carlo Rossella alla guida del Tg5, finì su alcuni cartelloni pubblicitari con un cerotto che gli copriva la bocca «l’informazione bloccata», ha individuato i presunti innocenti e spedito i mercanti fuori dal tempio. Intanto il caso resta aperto. Alla prossima puntata. Di Matrix.
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