Garzon, il giudice che ama i media adesso processa la Storia

I grandi cimiteri sotto la luna è uno dei romanzi più belli e dolorosi sulla guerra civile spagnola. George Bernanos, testimone oculare, vi racconta che alle Baleari i franchisti, per risparmiare lavoro ai becchini, fucilavano i prigionieri vicino ai cimiteri. Nessuna delle due parti in lotta ebbe la stessa macabra attenzione, in altre parti della Spagna: entrambe crudelissime come si può essere durante una guerra fratricida. Nonostante la pacificazione nazionale postbellica voluta da Francisco Franco, sono dolori che un popolo non può dimenticare. Vengono trasmessi anche alla coscienza dei più giovani che, senza avere vissuto la guerra, si schierano d’istinto con la fazione che fu dei padri e dei nonni. Forse è capitato così al magistrato spagnolo Baldasar Garzón, che in un libro uscito anche in Italia (Un mondo senza paura, Baldini Castoldi Dalai) dice di non voler dimenticare «nessuna delle tragedie e degli orrori» che siamo stati costretti a subire. Fedele a questo assunto Garzón, a quasi settant’anni dalla fine del conflitto, ha chiesto a 22.800 parrocchie la lista dei desaparecidos; lo stesso ha fatto con i sindaci di Madrid, Siviglia, Cordova e Granada, aree che erano sotto il controllo franchista. Ma non si vede quali esiti possa avere l’iniziativa, motivata con le richieste di alcune associazioni di vittime della guerra: un’amnistia generale, decisa dal Parlamento spagnolo nel 1977, ha messo in prescrizione tutti i reati politici commessi prima del 1976. E un procedimento penale sarebbe possibile soltanto se venisse ammesso il reato di genocidio, neanche contemplato nella recente legge sulla Memoria Histórica, tesa a chiudere con il passato.
Del resto Garzón è specialista in crimini clamorosi quanto antichi. In Italia è famoso soprattutto per il processo su Telecinco, finito dopo undici anni con l’assoluzione degli imputati e la condanna alle spese per l’avvocatura dello Stato; ancora prima, salì agli onori della cronaca mondiale quando spiccò un mandato d’arresto internazionale contro il generale cileno Pinochet, poi morto tranquillamente nel suo letto. Avrà probabilmente la stessa sorte un’altra iniziativa presa da Garzón l’anno scorso, quando cominciò una procedura per incriminare con l’accusa di genocidio un ministro degli Interni, un capo delle forze armate e alti dirigenti marocchini, che negli anni ’70 e ’80 avrebbero massacrato i saharawi, popolazione dell’ex Sahara spagnolo. Il quotidiano madrileno El Mundo, sotto il titolo «Truculenta garzonada», commenta così l’ultima iniziativa: «È difficile sapere cosa si propone Garzón, però tutto indica che voglia recuperare il protagonismo perduto nei media». E aggiunge che tutte le sue iniziative internazionali gli hanno impedito di indagare a dovere sull’Eta e sull’attentato di Al Qaida a Madrid.
Non so, si tratta di questioni spagnole. Resta da chiedersi se un’iniziativa del genere avrebbe senso in Italia, dove abbiamo avuto una guerra civile, con i suoi desaparecidos. Anche da noi c’è stata un’amnistia e anche noi abbiamo famiglie che chiedono ancora – se non giustizia – almeno la ricerca e l’identificazione dei cadaveri, vittime dei nazisti, dei fascisti, dei partigiani: soprattutto nel «triangolo rosso», dove i partigiani o sedicenti tali infierirono sugli avversari, anche dopo la guerra, spesso per vendette private.

Fatto salvo il diritto delle famiglie di pregare su una tomba, riaprire un procedimento giudiziario collettivo servirebbe soltanto a far sanguinare vecchie ferite. La giustizia, ormai, riguarda soltanto la storia e gli storici. E in questo senso c’è ancora molto da fare.

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