Gaza, Israele si ritira e Hamas canta vittoria

Ventimila integralisti festeggiano per le strade. Abu Mazen si offre come mediatore

Silenzio, parla Condoleezza. Il tempo della guerra per ora è finito. Israele ritira i carri armati da Gaza e il premier Ehud Olmert restituisce la parola al grande alleato. Nulla è stato risolto e nulla verrà risolto dall’arrivo quest’oggi di Condoleezza Rice, ma non si può certo continuare a sparare mentre il segretario di Stato americano vola in Israele e nei territori palestinesi per ridar fiato agli scordati accordi di Annapolis.
Ehud Olmert richiama dunque i mille della Brigata Givati mandati a caccia di missili e concede ad Hamas il lusso di cantar vittoria. È un lusso sfacciatamente ipocrita visti i 117 palestinesi passati a miglior vita tra mercoledì e ieri mattina, ma così impongono le regole apprese dai maestri di Hezbollah. Mentre gli israeliani gli voltano le spalle Hamas si prende l’ultima parola infilando missili tra le case di Ashkelon e Sderot e celebrando davanti ai ventimila fedelissimi riuniti nella piazza di Gaza una «manifestazione della vittoria». Mentre dieci miliziani esibiscono kalashnikov e lanciagranate tra maree di bandiere verdi Mahmoud Zahar, leader delle fazioni più intransigenti, sfida i missili israeliani e spiega che «Israele è stato costretto a ritirare i soldati sconfitti». Poi, seguendo alla lettera il copione appreso dai maestri del Partito di Dio, garantisce congrui risarcimenti a chiunque pianga familiari defunti o abitazioni distrutte.
Sotto la crosta di quella propaganda le ferite sanguinano e fanno male. Lo si capisce quando Zahar interrompe la liturgia per annunciare la disponibilità a «dialogare indirettamente con chiunque». Come dire: troviamo un mediatore e iniziamo una trattativa. Concetti quasi identici vengono espressi in Israele dal ministro Ami Ayalon. Rompendo ogni tabù l’ex capo dello Shin Bet eletto nelle file laburiste propone un negoziato indiretto con Hamas attraverso l’Egitto per ottenere la fine del lancio di missili ed evitare, o almeno rinviare, una sanguinosissima rioccupazione di Gaza. Il primo ad approfittarne è Mahmoud Abbas (spesso citato col nome di battaglia Abu Mazen). Il presidente palestinese, oscurato mediaticamente e cancellato politicamente dallo scontro tra Israele e Hamas, prende la palla al balzo e si offre come inaspettato mediatore. Messa da parte l’umiliazione per la cacciata da Gaza e le promesse di non parlare più con Hamas, il presidente si dice pronto a «lavorare per una reciproca calma con Israele allo scopo di risparmiare nuove sofferenze al nostro popolo».
A Gerusalemme il premier Ehud Olmert si lascia aperta ogni possibilità. «Siamo nel mezzo di una battaglia... non è ancora finita - spiega alla Knesset -. Tutto è possibile, dalle operazioni aeree e terrestri a quelle speciali... Hamas deve provare fino a che punto siamo pronti ad agire». Sul suo tavolo ci sono, in queste ore, i piani dello Shin Bet per la decapitazione dei vertici di Hamas e quelli dello Stato Maggiore per una completa rioccupazione militare della Striscia. Prima di decidere Olmert deve però ascoltare le richieste americane.

Washington gli riconosce il diritto all’autodifesa, ma gli chiede anche la fine dei combattimenti. E Condoleezza Rice esigerà, probabilmente, una rapida riapertura dei negoziati con Mahmoud Abbas anche se non è chiaro come Washington interpreti e valuti la proposta del presidente palestinese di mediare con Hamas.

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