Gelo Berlusconi-Casini: separati in casa

Dopo il sì dei centristi al Senato sull'Afghanistan il Cavaliere sceglie la linea morbida: "Lo strappo mi ha fatto male ma le porte della Cdl sono sempre aperte. Il grande centro c'è già, è Forza Italia". La rivolta del popolo Udc

Gelo Berlusconi-Casini: separati in casa

Roma - Parla al passato Silvio Berlusconi. Che aprendo il suo lungo intervento davanti ai parlamentari di Forza Italia, An, Lega, Nuova Dc e Pri - tutti stipati nella Sala della regina di Montecitorio - ricorda che l’Udc «è stata con noi per tredici anni» e «ha condiviso cinque anni di governo del Paese». Un incipit, quello del Cavaliere, che accende gli occhi di quella corposa parte di deputati e senatori che con Pier Ferdinando Casini non vorrebbero avere più nulla a che fare. Il Carroccio in primo luogo, ma pure pezzi di Forza Italia e An. Saranno loro a interrompere per ben due volte il Cavaliere con sonori «buuuu» ad accompagnare i passaggi più delicati sul leader dell’Udc. A cui l’ex premier non lesina critiche, pur ripetendo più d’una volta che «le porte restano aperte».

E sarà proprio questo il leit motiv della riunione plenaria che di fatto inaugura una nuova stagione della Casa delle libertà («che è viva e vegeta», ripetono il Cavaliere e Gianfranco Fini). Con Roberto Maroni a spingere sull’acceleratore della rottura, il leader di An a insistere per mettere all’angolo l’ex alleato e Berlusconi a mediare. Per due ragioni. La prima, ripetuta anche pubblicamente, è squisitamente numerica: alle passate elezioni l’Udc «ha preso due milioni e 400mila voti» e «non possiamo regalare un vantaggio così agli avversari», soprattutto in un Paese dove si vince e si perde per 24mila voti. La seconda, destinata a rimanere nelle conversazioni private, in cui il Cavaliere ripete più d’una volta che «se fossimo noi a chiudere la porta a Casini, non solo finiremmo per metterci al suo livello ma gli serviremmo su un piatto d’argento il pretesto per dire al suo partito e ai suoi elettori che è lui a essere dalla parte della ragione».
È soprattutto per questi motivi che Berlusconi cerca di modulare il suo intervento su un doppio binario, nonostante - ammette - «quello che mi verrebbe da dentro con il mio carattere di lottatore».

E le critiche, pure dure, sono spesso condite dalla speranza che alla fine «si convinca a restare con noi». Lo «strappo di Casini», spiega, «ci ha fatto male e ci ha danneggiato come immagine». Il problema - concorda con Fini - è che «lui pensa di costruire un grande centro» e «ha nostalgia della politica dei due forni». Insomma, «pensa di porsi come ago della bilancia come faceva Craxi». «Si dimentica - aggiunge il leader azzurro - che il grande centro esiste già e si chiama Forza Italia». E quindi, seppure «molte volte abbiamo detto tentiamole tutte», non c’è dubbio che oggi «la separazione c’è stata». Ed è proprio questa la novità rispetto al passato. Forse per la prima volta, infatti, il Cavaliere sceglie di non rimanere in attesa e, con le cautele del caso, fa comunque un passo avanti. Per questo alla fine decide di dire «sì» all’idea di Fini della riunione plenaria a Montecitorio per rilanciare la Cdl, che «è compatta» e «riprende il suo cammino». Perché «ha ragione Gianfranco quando dice che la lepre siamo noi» mentre «sono altri a dover chiarire la loro posizione». Insomma, «ora non li rincorriamo più» perché «con l’Udc siamo in un regime di separazione».

Parole che raccolgono il plauso di Fini, mentre decisamente più freddi restano Maroni e Roberto Castelli. Al punto che l’ex ministro del Welfare chiede un «chiarimento definitivo prima delle amministrative». Più caustico Roberto Calderoli. «Ricucire con l’Udc? Datemi ago e filo, così ci penso io a... cucire la bocca di Casini». Da Varese dice la sua anche Umberto Bossi. «Berlusconi - spiega - è credibile come mediatore, io lo sono un po’ meno. Se l’Udc non ci vuole, se ci odia, allora vada per la sua strada e noi continuiamo sulla nostra».

Il Cavaliere, però, invoca ancora «pazienza». «La Cdl - spiega - c’è anche senza Udc e d’ora in poi ci comporteremo di conseguenza anche se ci auguriamo che possano tornare sui loro passi». Certo, chiude affidandosi al romanesco, «se poi nun ce vonno sta’...».

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