Genna, quando il postmoderno finisce in coma

«L’anno luce»: tra la parodia e il farsesco una narrazione inutilmente iperbolica

Dimensioni macroscopiche a cominciare dal titolo, nell’ultimo romanzo di Giuseppe Genna (L’anno luce, Tropea, pagg. 250, euro 13). Il risvolto di copertina, dopo l’accenno disinvolto a una parentela con Houellebecq e le consuete iperboli («una saga sbalorditiva e stellare»), tenta il tutto per tutto: avremmo fra le mani «il primo romanzo neoborghese italiano». La trama fa la sua parte nel manovrare il pantografo, qui non si ragiona di beghe fra bottegai, qui si insidia qualcosa di più vasto di un giardino di ciliegi: una pachidermica e minacciosa compagnia telefonica inglese lancia un’O.P.A. alla Telecom italiana. Un successo - considerato il ruolo che hanno oggi le telecomunicazioni - equivarrebbe a una espropriazione del suolo patrio: «Chiamatela Inghilterra, l’Italia non esiste più...».
Si tratta, naturalmente, di gusto per il farsesco. Genna è un abile comunicatore e gioca sapendo di giocare. Inoltre conosce tanto bene i suoi lettori da essere sicuro che essi non lo deluderanno, che non gli faranno mai il torto di prenderlo sul serio. Non è, questo, libro da leggere tutto d’un fiato, composto com’è da una miriade di micro-parodie, di fanfaronate pseudo-sociologiche, di aforismi calciati a campanile che implorano di non essere interpretati, pena l’ingorgo mentale o, nel peggiore dei casi, la noia di chi vi si imbatte. Aggiungiamo che quando il gioco si tramuta in scoperta bouffonnerie, l’autore dà il meglio di sé: si pensi all’esergo tratto dall’Apocalisse di Esdra («L’universo mi teme, i miei occhi vedono la Geenna») o al faccendiere Anthony Brook, maritato con Antonya Brook; si pensi al protagonista detto «il Mente», con allusione bicipite sia alla sua intelligenza, sia alla sua tendenza a mentire, e in particolare alla scena in cui rintuzza il roboante assalto dell’amministratore delegato estraendo dal cappello a cilindro, con gloriosa cialtroneria italica, un accordo nientemeno che con i cinesi e il loro programma spaziale. Che dire, del Mente? Gli è stato assegnato il compito più arduo, impedire che l’azienda cada in mani straniere: legittimo dunque supporre che tra lui e un peracottaro passi qualcosa di più, di una differenza di dettaglio.
Niente da fare: Genna, divertendosi alle nostre spalle, prova a ricavare un top manager da materiali vili. Il Mente dunque possiede un’automobile, ma modesta; gioca a calcetto con i colleghi; ha sposato una donna dal nome di imbarazzante bruttezza, Maura, la cui fotografia fa mostra di sé in una cornice non d’argento, bensì silver plated. Alla donna tocca di essere tradita, perché il marito incontra le sue amanti in un piccolo e nebbioso albergo di periferia, il Dom Perignon. Maura un giorno cade in coma, in seguito a uno choc di cui il lettore ignora la causa. Mentre giace in ospedale priva di sensi, le capita l’esperienza della Marchesa di O. e resta incinta di un infermiere mascalzone che ha approfittato di lei. A questo punto tra le corsie compare la nera figura del faccendiere, il quale compra la cartella clinica della donna. Che cosa accadrà al momento del risveglio? Perché Maura è caduta in coma?
Vedete, anche gli interrogativi del lettore acquistano un riflesso faceto.

Spiritoso Genna, chissà se qualcuno si lamenterà della vacuità di queste pagine. Ma è il romanzo postmoderno, baby, è la sua natura; al pari di tante altre cose amene della vita non serve a niente, non va da nessuna parte e se ne vanta.

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