Baliani, il «baro» che fa teatro senza spostarsi da una sedia

Baliani, il «baro» che fa teatro senza spostarsi da una sedia

(...) se non avesse fatto teatro, avrebbe potuto essere brigatista - alle favole per ragazzi. Ma, anche e soprattutto nelle favole, mai banale, mai scontato, mai piano. Sempre alla ricerca dello «stupore», la caratteristica più bella dei bambini, che non ho mai sentito raccontare così bene come la racconta Baliani sul palco dei suoi spettacoli.
Formalmente, oggi, vi parlo anche della capacità di creare «eventi» del teatro Stabile di Genova, che avevo attaccato pesantemente proprio la settimana scorsa. Ma è il bello della critica degna di questo nome: una volta è talmente sanguinosa da trasformare le pagine del giornale in una succursale dell’Avis, la volta dopo cambia lo spettacolo e usi parole che fanno rischiare il diabete a chi le legge. Credo che si chiami, semplicemente, tecnicamente, onestà intellettuale.
E allora, formalmente, oggi, vi dico che il direttore dello Stabile Carlo Repetti - uomo certamente di sinistra, ma mai della sinistra, capace di dialogare con tutti e di dare spazio anche alle voci non allineate, uno con cui mi piacerebbe anche lavorare per il suo stile - ha messo in piedi una serie di giornate con Baliani di assoluta eccellenza, con le rappresentazioni di Kohlhas al Duse, ma anche con la lezione-spettacolo nel foyer della Corte in cui l’attore romano ha raccontato i suoi ventitrè anni in compagnia del suo personaggio e la capacità di fare teatro anche solo con un movimento delle gambe, con un braccio alzato, con una parola onomatopeica. E la cosa più bella è stata vedere trasferita questa serie di indicazioni - questo «smontaggio in diretta» dell’opera, questo svelamento dei segreti teatrali e del racconto di se stesso, anche in rapporto con i diversi tipi di pubblico e soprattutto con gli studenti - nello spettacolo vero e proprio. Come se un baro raccontasse i suoi trucchi per il poker.
E allora, formalmente, oggi, vi parlo di un baro e della sua incredibile capacità di fare teatro con una sola sedia sul palcoscenico e poi la sua fisicità, la sua voce, le sue scarpe, la sua maglia nera. Nient’altro. Qualcosa talmente bello e affascinante da richiamare, fra gli altri, proprio lo stesso Carlo Repetti ad ascoltare la lezione-spettacolo di Baliani. E credo che un direttore di teatro che va ad ascoltare una lezione nel suo teatro sia un’altra grandissima lezione, un segno di umiltà, ma anche di rispetto del lavoro degli altri. Soprattutto, un segno del rispetto anche del pubblico: se io stesso sono spettatore e ammiratore di ciò che propongo, difficilmente rifilerò al pubblico quello che a Roma viene chiamata sòla, fregatura. Insomma, doppiamente bravo Repetti: innanzitutto per aver creato l’«evento Baliani» qui a Genova. In secondo luogo per crederci lui per primo.
E, poi, formalmente, oggi vi parlo dello spettacolo che è stato in scena fino a domenica al Duse, qualcosa in grado di emozionare, di far palpitare cuore e gola del pubblico, di prenderti senza lasciarti. Kohlhaas, scritto da Remo Rostagno e Marco Baliani, recitato e diretto dallo stesso Baliani, è un capolavoro da qualsiasi versante lo si guardi: interpretato straordinariamente, ma soprattutto scritto straordinariamente. Il merito qui è sì della trasposizione di Baliani - nata ventitrè anni fa proprio a Genova nell’ambito di un progetto a favore dei ragazzi dei vicoli e poi diventato un gioiellino del teatro italiano - ma anche del testo di Heinrich von Kleist, un classico della letteratura tedesca che racconta la storia di come un uomo giusto possa diventare ingiusto per eccessivo amore della giustizia. La trama: un mercante di cavalli dell’età di Lutero, cui un nobile sottrae illegalmente due cavalli di particolare pregio, prova ad ottenere giustizia, ma non la trova e, addirittura, vede morire sua moglie inviata a cercare quella giustizia e quella legge in cui crede. E allora si fa brigante e mette a ferro e fuoco città, finchè si piega alla parola di Lutero e, fidandosi delle autorità, depone le armi. Poi, tradito, viene condannato a morte, in un mondo dominato dalla corruzione. Ma muore felice perchè, mentre sta morendo, gli vengono restituiti i suoi cavalli.
Questa storia, bellissima, è resa ancor più bella dall’emozione che ci mette Baliani, che è unica per ciascuna delle repliche. Con l’attore-autore-narratore capace di emozionare e di emozionarsi ogni sera come fosse la prima. Anche se è la milleetreeesima.
Diventare ingiusti per eccessivo amore della giustizia. Cercare di raccontare una cultura diversa, fatta di contenuti e di percorsi e non di spot, di idee e non di ideologie.

Amare il proprio lavoro e proporre ai propri clienti le stesse cose che piacciono a noi. Emozionare ed emozionarsi.
Formalmente, oggi, vi ho parlato di spettacoli e di teatro. Ma credo di aver parlato di Genova e di politica più di sempre.

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