Un tempo, il partito - anzi, il Partito - dava la linea. E nessuno si sognava minimamente di metterla in discussione. Quelli che studiano storia e politica sanno che si chiamava «centralismo democratico». Poteva piacere o non piacere, ma almeno sapevi con chi avevi a che fare e se dicevano bianco era bianco-bianco. Non nero. E nemmeno grigio. O bianco leggermente sfumato. No, era bianco-bianco e basta.
Oggi, invece, è tutta un'altra storia, come si è visto chiaramente ieri in occasione del primo voto sul presidente della Repubblica. E la sinistra ligure si è distinta fra i rivoltosi, fra quelli che non hanno votato Marini, nonostante Marini fosse un autorevolissimo esponente del loro partito, nonostante l'indicazione di Pier Luigi Bersani, nonostante la lettera di Massimo D'Alema e nonostante un accordo chiuso che avrebbe potuto spianare la strada verso una pacificazione nazionale. Andando nella direzione chiesta un po' da tutti, dagli imprenditori, dal mondo produttivo, dalla Chiesa e dall'Italia più profonda. Quella che non strilla, ma manda avanti quotidianamente il nostro Paese.
Poi, c'è un'Italia che urla. Che lo fa fisicamente «Ro-do-tà, Ro-do-tà» davanti al portone di Montecitorio, poche decine di persone che strepitano «Arrendetevi!» ai parlamentari e che lo fa anche metaforicamente urlando in rete, sui social network, su Twitter e su Facebook. Questo è il popolo che ha detto no a Marini e questo è stato il popolo che, anzichè avere la linea del partito, gliel'ha dettata. Il che non è detto che sia una cosa negativa a prescindere. Ma pare surreale che un partito che è stato grande non abbia la forza che hanno i grandi partiti: e cioè di guidare il proprio mondo, non di esserne succubi. Gli statisti ragionano così.
Invece, il Pd ligure di oggi è stata un'altra cosa.
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