Quelle inquadrature sono tante cartoline della città

Oggi introduco un genere cinematografico che portò a Genova un numero elevato di produzioni, motivo per cui lo ritroveremo spesso anche nei prossimi articoli. Tale filone viene chiamato «poliziottesco» o «poliziesco all'italiana», anche se non è semplice delinearne le caratteristiche generali che accomunino a racchiudano tutte le pellicole così appellate. È invece realizzabile una collocazione temporale, che vede gli anni '70 come il decennio in cui si sono concentrate questi particolari lungometraggi. La trama di un poliziottesco mantiene alcune caratteristiche del poliziesco classico, ma si differenzia nell'essere caratterizzata principalmente dalla collusione tra i poteri forti dello stato e la malavita, oltre che dalla necessità di ribellione del cittadino di fronte al dilagare della violenza metropolitana. Spesso infatti il protagonista è un commissario intransigente che assume le vesti di un vendicatore della giustizia, frequentemente abbandonato e incompreso dai propri superiori; ci viene posto di fronte un forte contrasto tra i suoi intenti fondamentalmente onesti e i suoi metodi violenti molto simili a quelli usati dai delinquenti stessi.
Ambientate di consueto in grandi realtà urbane degradate, le sceneggiature di questo genere possono sicuramente essere considerate coraggiose, di impegno civile e di denuncia (come si evince anche dai titoli enfatizzati). Allo stesso tempo però tale progetto viene corrotto da un certo qualunquismo di fondo, da una violenza accentuata fino a sfiorare lo splatter, da contenuti che oscillano fra il demagogico e il comico e che non permettono allo spettatore di concentrarsi esclusivamente sulle finalità sociali dell'opera.
In particolare, il film che esamino oggi si intitola «La polizia incrimina, la legge assolve». Si tratta di una produzione del 1973 diretta da Enzo G.Castellari, considerata univocamente uno dei manifesti del poliziesco all'italiana. Brevemente, racconta la storia del commissario Belli (interpretato da Franco Nero, solo uno dei tanti attori importanti da cui è costellata la pellicola) che indaga su un traffico di droga tra Marsiglia e Genova; questa indagine, condotta in solitudine e con il parere contrario dei superiori, lo porterà ad assistere alla barbara uccisione della figlia da parte di un sicario dei clan invischiati. La trama resta comunque subordinata al sesso, alla droga e soprattutto alla violenza che rappresenta il vero perno narrativo del film. La pellicola inoltre intende descrivere il paesaggio e i tratti urbani caratteristici della nostra città. Lo si può notare nel famoso inseguimento automobilistico iniziale della durata di quasi otto minuti; molte inquadrature sembrano voler volontariamente rappresentare una sorta di cartolina di diverse zone nella provincia di Genova, dalla Sopraelevata, al porto, all'autostrada A12 fino a Recco, Rapallo e Santa Margherita.
In contrasto a questa prima presentazione però Genova, in particolare in zona centro storico, viene considerata la concretizzazione perfetta di quell'ideale di centro urbano affollato e degradato che funge da cornice ottimale per una storia di questo tipo (quasi malinconicamente il protagonista si riferisce ad essa dicendo «questa sporca città»). Tale utilizzo ci riporta a uno dei grandi temi che avevamo individuato all'inizio di questa rubrica e che inizieremo a ritrovare più intensamente da ora in poi: la peculiarità di determinati quartieri della Superba come fonte di ispirazione per tematiche variegate e contrapposte. Ad esempio possono ospitare le situazioni conflittuali esemplificate in questo caso nell'incontro/scontro fra «fuorilegge» e forze dell'ordine, in contrasto con il centro storico allegro e dinamico che avevamo riscontrato ne Le mura di Malapaga.
Il regista e la produzione in generale, dopo un primo periodo di critica aspra, vennero rivalutati e apprezzati soprattutto grazie all'intervento del maestro del cinema Quentin Tarantino, che dichiarò in un intervista a Cannes di essersi ispirato molto a questo regista simbolo di un genere tipicamente italiano. In effetti il parallelismo tra Castellari e Tarantino sembra realistico: in Castellari ritroviamo un gran senso del ritmo (dall'incipit secco che porta subito lo spettatore all'azione, passando per un montaggio non privo di errori ma sempre molto dinamico, fino a giungere alle musiche molto azzeccate e in sintonia con il tono del film), uno stile asciutto evidentemente proveniente dai suoi passati western, un ampio utilizzo dei «rallenty» e della violenza a volte anche combinati. Tutte queste caratteristiche vengono messe in risalto, come se il contenuto dell'opera consistesse nella forma e nell'estro piuttosto che nello svolgimento della sceneggiatura e nel messaggio da essa trasmesso.
A mio modo di vedere, proprio Tarantino può essere ritenuto un grande esponente del cinema «fine a se stesso», dedito al puro intrattenimento (questa osservazione non vuol essere assolutamente una critica).

In ogni caso, certamente l'interesse di un figura così rilevante nel panorama cinematografico attuale ha contribuito a rendere nuovamente attuali particolarità di questo genere che restano, indipendentemente da questa rievocazione, preziose.

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