le testimonianze

2 MODA E MODE

Il tempo in cui le donne

indossavano le gonne

Infanzia negli anni '50, adolescenza nei '60: ogni cosa a suo tempo ed ogni età con regole, modi, convenienze, rigorosamente codificati. Il guardaroba di noi femmine, non traboccante certo di abiti, era del tutto privo di pantaloni, jeans e tute. Non c'era alcun tipo di collant e solo a poche - purtroppo, io non ero tra quelle - venivano concesse le calze lunghe di nylon prima dei quindici anni, benché si avesse già l'aspetto di donna. Nei due anni di ginnasio, per evitare le imbarazzanti calze corte di cotone bianco o beige, ricordo prolungamenti di estate a gambe nude fino a novembre e, quando la stagione non lo permetteva più il patetico espediente dei calzini di nylon quasi color carne, comunque orribili e mortificanti una pur minima eleganza. Ricordo, poi, la divisa da ginnastica con gonna blu a pieghe e scarpette bianche Superga modello tennis - bellissime perché leggere e flessibili come non ce ne sono più - da calzare solo durante la lezione. Esclusivamente in occasione di qualche gita si indossava la gonna pantalone e nell'intero ciclo scolastico portavamo il grembiule odiato tanto anche se ingiustamente, in quanto indumento che garantiva praticità e decoro senza elementi esteriori di disuguaglianza sociale. Grembiule assolutamente non griffato come il resto dell'abbigliamento e del semplice corredo scolastico costituito essenzialmente da libri, quaderni, astuccio e cartella (la cinghia elastica sarà una conquista di fine liceo!). Se chiudo gli occhi, mi arriva ancora l'odore buono di cuoio e le mie dita seguono con tenerezza il profilo delle impunture di una cartella color miele che dalle medie mi accompagnò per otto anni!
Piccoli frammenti di lontane realtà non relegabili tra le emozioni della memoria, ma fondamento sostanziale di un patrimonio presente. Come, in questo caso, il giusto impareggiabile di una comunicazione manoscritta.
P.S. Grazie, dottor Lussana, per la straordinaria iniziativa di coinvolgere i lettori in un racconto a più voci: ne avrà di lavoro!
Gigetta Fuiano
2 IL PENSIERO E L'AZIONE

Il far politica aveva un valore

e serviva a formare i giovani

Ho seguito con molta attenzione la sua rubrica «le cose perdute degli anni sessanta» e mi consenta alcune riflessioni: non dobbiamo, secondo me, ricordare solo le cose materiali che con il pensiero ci riportano a quegli anni ma riflettere che cosa è stato quel periodo nella storia di ognuno di noi. Certo per alcuni possono essere ricordi piacevoli per altri un po' meno, ma per noi, per la nostra Comunità politica quegli anni sono stati il simbolo di un forte resistenza nei confronti di tutti coloro che ci volevano vedere sciolti o gettati nelle patrie galere come epigoni di un passato che, secondo lor signori, significava Male Assoluto o ancor peggio ricostituzione. Non bisogna ricordare solo i vecchi francobolli, i vecchi giocattoli (le americanate come il Big Jim) o i canfim, ma il sacrificio di tantissimi giovani che dall'una e dall'altra parte si battevano per un mondo migliore dove sarebbe dovuta regnare la giustizia sociale, l'onestà, il lavoro. Con le nostre proteste avevamo avuto sentore che prima o poi si sarebbero realizzate tutte le cose negative che oggi possiamo toccare con mano: malgoverno, disonestà, complicità mafiose, disoccupazione, violenza politica e delinquenza ma la maggioranza dei «politicamente corretti» di quegli anni non hanno voluto prenderle in considerazione e ci hanno bollato come falsi «profeti». Di chi è la responsabilità? Di lor signori che per mantenere il potere ci hanno quasi criminalizzato, o noi non siamo stati all'altezza di farci capire o di avere lanciato messaggi che sono stati quasi come grida nel deserto? Questo è il vero dramma degli anni Sessanta che devono essere meditati da ciascuno di noi al di fuori del ricordo delle vecchie Fiat, o delle Lambrette, delle serie di francobolli dell'epoca. Gli anni Sessanta sono stati le Cassandre del periodo della nostra storia che attualmente viviamo, però sono state inascoltate!
Militante missino degli anni '60
2 DUE RUOTE IERI E OGGI

L'emozione di prendere

la patente per la moto

Primi Scooter per i ragazzi a 14 anni. Se la Vespa consentì la mobilità a tante persone nel dopoguerra, gli scooter con motori da 50 cc che si potevano guidare già a 14 anni e senza la patente come il Solex, Trotter, Ciao, Agrati Garelli simili a biciclette a motore oppure le piccole motociclette da 50 cc come il Morini, il Dingo, MotoBi, furono il sogno di tanti ragazzi nella seconda metà degli anni '60 che guardavano con una certa invidia i veramente pochi compagni di scuola ed amici che disponevano di quei due ruote!
Oggi in Italia circolano oltre 7 milioni di due ruote ed anche per i 50 cc le regole cono cambiate (targa, casco obbligatorio, assicurazione, collaudi etc. etc) ma allora anche le famiglie scoraggiavano i figli da quei regali diabolici con la promessa che a 18 anni, dopo la patente e dopo la maturità, avrebbero regalato una Fiat 500 di seconda mano...
C'erano giovani che speravano in un regalo da parte dei nonni e magari a 16 anni si preparavano per la patente A, quella che consentiva di guidare moto e scooter da 125 cc e quando mi preparai per i quiz e poi mi recai alla Motorizzazione Civile in via Dino Col per l'esame della patente A da privatista e fui uno dei pochi a superare l'esame senza aver mai guidato una moto da 125 cc, già sognavo una Gilera Florida da 125 cc.
Oggi ho una Florida da 650 cc ma della Moto Guzzi ma la uso poco e mi spiace se penso a quanto sognavo di guidare una moto negli anni '60 quando non l'avevo! È proprio vero il detto che recita: chi ha il pane non ha i denti e chi ha i denti non ha il pane.
Mario Lauro
2 DIVERTIMENTI DA BAMBINI

L'altalena di ferro

era come Disneyland
Ci fu il boom, e ricordo che il desiderio era di costruirsi una casetta o di aggiustare quella che la gente aveva. Mi colpivano le discussioni sulla dislocazione della scala che qualcuno voleva esterna per non sottrarre spazio all'interno della casa. L'altra discussione era sul gabinetto che alcuni avrebbero voluto esterno per non rovinare una camera dandogli uno spazio che non meritava. Le risate pensando ai 6 o 7 bagni delle ville degli attori americani... Quando andavo in campagna ed avevo bisogno di andare ai servizi il campionario andava da un semplice gabbiotto con regolare buco direttamente nella fossa, a un locale, in cui ci si entrava contorcendosi, con il water e, meraviglia delle meraviglie, tanti bei foglietti di giornale tagliati su misura. Poiché i giornali all'epoca erano rari, l'interesse per quanto riportavano ancora maggiore, era una occasione per aggiornarsi, peccato che gli articoli fossero irrimediabilmente tagliati nel punto più interessante, a questo si deve la passione per tutto quello che riguarda la carta stampata. I giornalini ce li scambiavamo e i Topolino erano merce pregiata di baratto, il Vittorioso poi con Jacovitti era una tripudio di colori e immagini. Un brutto giorno le sirene della Montecatini si misero a suonare e vidi tanta gente arrivare perché dove abitavo io c'erano due rifugi antiaerei che furono aperti per dare ospitalità alle donne ed ai bambini. Era successo che per una imprudenza era scoppiata una valvola di un gasometro molto grande e c'era il pericolo che potesse scoppiare il tutto con distruzione del villaggio costruito in prossimità dello stabilimento.
Per fortuna l'incendio fu domato, ma ci furono morti e feriti tra gli operai. Dove abitavo c'era un piccolo parco con giardini ben tenuti e cosa insolita, un'altalena in ferro. Praticamente era una Disneyland molto ambita dai bambini del circondario che facevano a gara per poter fare le loro oscillazioni. Ogni tanto qualcuno preso dalla troppa foga partiva per la tangente, ma a quei tempi chiunque cadesse o si facesse delle escoriazioni, se ne guardava bene dal lamentarsi a casa perché se no il fondoschiena sarebbe rimasto inutilizzabile per parecchi giorni, quindi zitti e mosca. Altri tempi, altre cose da raccontare.
Giacomo Pronzalino

2 TEMPI DI GUERRA

Il vero eroe di piazza Alimonda

resta don Luigi Parodi

Il vero eroe sconosciuto di Piazza Alimonda resta Don Luigi Parodi, parroco e Abate. Il 24 aprile 1945 reparti tedeschi si ritiravano, in ordine, lungo Via XX Settembre e Corso Buenos Aires, con meta «Villa Paradiso», in Albaro. Un sottufficiale, piantato, con mitraglietta in pugno, in Piazza Tommaseo, davanti al monumento del Gen. Belgrano, sorvegliava le via d'accesso alla piazza, sparando imparzialmente una raffica su qualsiasi cosa vedesse muoversi. Un vecchietto (si disse, dopo, che fosse sordo) attraversò improvvisamente via Caffa, e regolarmente, fu fatto fuori dalla raffica tedesca. Egli rimase solo, senza alcun soccorso, agonizzante sull'asfalto. Fu allora che si vide Don Parodi uscire dalla chiesa in divisa da perfetto bersaglio (tonaca nera e cotta bianca) recando all'altezza del petto il Santissimo. Il tedesco si voltò verso di lui puntando la «machine pistole», ma non accadde nulla. Il sacerdote scese incurante lungo Via Caffa si inginocchiò accanto al corpo esanime, gli somministrò i Sacramenti, si risollevò, ripercorse il cammino inverso, sempre con l'arma del tedesco puntata alle sue spalle. Arma che, per l'intercessione di N.S. del Rimedio o per intelligenza del militare, sparò. Anche durante la guerra civile i Ragazzi di Piazza Alimonda - di destra o di sinistra, oppressi od oppressori, fuggiaschi d'ogni parte - trovarono nella loro piazza rifugio ed amici. In particolare i fratelli Fernando e Diego Riccardi accolsero sempre nella loro casa chiunque avesse bisogno o desiderio d'asilo. E tutti, di qualsiasi parte, in essa si ritrovarono - al di là delle fazioni - amici, perché «Ragazzi di Piazza Alimonda».


Antonio Sulfaro
2 SIGARETTE

Monopoli di Stato

e marchio di Casa Savoia
Si mormorava che i Monopòli di Stato per mettere in vendita le sigarette Savoia (che portavano impresso il marchietto della Casa regnante, con tanto di corona reale), avessero dovuto richiedere l'autorizzazione dell'allora Ministro della Real Casa, marchese Falcone Lucifero. Mi riferisco agli anni 1939/1940/1941. Pensi un po'...
Franco Ferrara

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