2 PATOLOGIE DELL'INFANZIA
Quando a scuola si facevano le ispezioni
di mani, unghie, capelli e pidocchi
Nell'Italia degli anni 50' un'alimentazione piuttosto povera e condizioni igienico sanitarie non sempre adeguate esponevano soprattutto i bambini al rischio di patologie, fortunatamente quasi dimenticate. È penoso ricordare ragazzini menomati da poliomelite o meningite e quelli affetti da orzaiuoli (infezioni delle ghiandole palpebrali), paterecci (infezioni alle dita), geloni (lesioni eritematose delle estremità, dovute al freddo e carenze vitaminiche). Alle elementari, con frequenza regolare passava in aula la vigilatrice scolastica per l'ispezione di mani, unghie, capelli ed ogni volta qualcuno veniva rispedito a casa fino a completa eliminazione dei pidocchi dalla testa; quando il malcapitato rientrava in classe, era regolarmente rapato a zero. Per buona sorte e merito di una famiglia scrupolosa, a me non capitò alcuno di questi accidenti. In caso di raffreddori e costipazioni la cura consisteva in fastidiose gocce nel naso che scivolavano subito in gola e nelle strofinazioni di Vicks Vaporub sul petto, su cui si applicavano, poi, panni di lana ricavati da vecchi indumenti e destinati solo a questo uso perché si impregnavano del grasso unguento dal fortissimo indimenticabile odore di canfora misto a mentolo ed eucalipto.
Nei periodi freddi, nonostante la sciarpa di lana serrata su naso e bocca e la precauzione della «mezz'aria» - un passaggio graduale da ambienti chiusi ad esterni -, mi ammalavo spesso di tonsillite con placche in gola e febbri altissime. Era normale che il medico venisse più volte a casa per seguire il decorso della malattia, di cui non ho scordato la terapia: gargarismi con Arscolloid, pennellature di iodio sulle placche dal sapore tremendo di acido fenico, supposte di Farmidone e, negli episodi più resistenti, iniezioni di pennicillina.
Tra le varie affezioni esantematiche tipiche dell'infanzia non fui risparmiata neppure dalla scarlattina, che costringeva a stretto isolamento in casa per un lungo periodo (meno male la compagnia di tante belle letture! Compresa la splendida Enciclopedia Mondadori dei Ragazzi - regalo dei miei genitori per la prima comunione -, che su ogni argomento delle molteplici sezioni mi appassionava al pari di un romanzo. Quei dieci volumi insieme ad altri «sacri» pilastri del mio percorso formativo si sono guadagnati una collocazione a vita nella biblioteca personale).
Dopo l'inverno non ci si poteva sottrarre ad una cura ricostituente con il nauseabondo olio di fegato di merluzzo. Dulcis in fundo, con l'estate arrivava l'incubo della Magnesia Espresso San Pellegrino. Uno sgradito ricordo legato all'inizio della villeggiatura, quando era d'obbligo purgarsi e depurare l'organismo per un migliore adattamento al cambio di aria e di situazione climatica rispetto alla città. Invano chiedevo a mia madre l'alternativa del Rim: il morbido cubetto fruttato e ricoperto di zucchero non aveva la poderosa efficacia della magnesia. Così, il primo giorno delle vacanze tanto agognate mi toccava rimanere in casa per l'inevitabile frequente necessità di correre in bagno!
2 FUTURI INGEGNERI
Quel regolo nel taschino della giacca
che si portava come «status symbol»
L'università ed io. La storia comincia un po' prima. Ai tempi del liceo (Doria), il governo italiano aveva fatto spargere la voce che l'Italia aveva bisogno di tecnici. Ed io, con un'ingenuità che adesso mi sembra abissale, ci ho creduto e mi sono iscritto a ingegneria. A dire il vero, c'erano anche motivi che oggi si definirebbero «collaterali» e (spero) perdonabili in un diciassettenne. Gli studenti d'ingegneria passeggiavano per via XX Settembre con il regolo nel taschino della giacca. Era uno «status symbol», un emblema di rango. Un po' come i nobili del '600 che avevano il diritto di tenere il lato del muro quando incontravano un plebeo che veniva dalla parte opposta.
E poi c'era il titolo. In un paese dove pochissimi non erano dottori, la qualifica di ingegnere aveva dell'originale, del differente e quasi dell'elegante. Durante un intervento tonsorio, in risposta a una domanda del barbiere su cosa facevo, risposi che studiavo ingegneria. Seduta stante, il barbiere mi investì del titolo. Da allora in poi mi si rivolse così, sia all'ingresso che alla mia uscita dal negozio.
Ma la vanità è giustamente punita. Come ingegnere non ho mai lavorato in Italia. Arrivato in America scoprii presto che un «engineer» è al massimo un conduttore di locomotive quando non proprio un tranviere. Professioni oneste e onorabilissime, ma il termine è ben lontano dal produrre l'effetto olimpico del titolo italiano.
Infine c'era l'etimologia. Un ingegnere è un portatore di ingegno e «ingegno» riporta, quasi involontariamente, a «genio». Per carità, sapevo benissimo di non essere un genio, ma quell'involontaria assonanza funzionava da assicurazione. Assicurazione di una non-totale assenza (di almeno un pizzico) di genialità, senza necessità di altre dimostrazioni. Al contrario, per esempio, di Perpetua, la quale, trascurata la homeland security di Don Abbondio, dovette dimostrare ad Agnese che era stata lei, Perpetua, ad aver respinto le offerte matrimoniali di Beppe Suolavecchia ed Anselmo Lunghigna, e non viceversa.
Il primo ostacolo nella scala del Purgatorio accademico era l'esame di geometria analitica e proiettiva. Teneva il corso il professor Eugenio Togliatti, fratello di Palmiro. Il quale Palmiro, oltre a essere il capo del partito comunista più importante d'Europa, era stato persino il segretario di Stalin. Mi sembrava di essere entrato nella storia per sbieco. Un po' come Renzo che, dopo i fatti di Milano, si trovò coinvolto senza volerlo nei bisticci tra la Spagna e Venezia.
Un recente evento mi ha rinfrescato il ricordo. David North è il leader del meno ignoto partito socialista americano. È un intellettuale, autore di vari libri e direttore del giornale in rete WSWS (World Socialist Web Site). Dopo una conferenza, qui a Portland, sull'incostituzionalità delle guerre americane ci furono le presentazioni. Avendogli detto di essere d'origine italiana, la reazione di David North fu, «Ah, Togliatti».
Nel 1994, tramite il «Freedom of Information Act», è stato rilasciato un documento redatto nell'immediato dopoguerra e intitolato, «Conseguenze di una vittoria legale dei comunisti in Italia». Gli americani avevano due contromisure in mente. La prima era la forzata secessione della Sicilia e della Sardegna (presumibilmente con l'assistenza della Mafia), nonché massicci interventi per finanziare il terrorismo nella penisola. Il piano numero due era semplicemente la falsificazione dei voti. Ma non era necessario e dimostra che l'amministrazione americana non aveva capito l'Italia.
Come osservava Montanelli, i comunisti italiani sapevano benissimo che in un regime comunista era come vivere in un convento o in una prigione. Ma una volta al governo, avrebbero prontamente convertito il convento in un bordello e la galera in una balera.
Jimmie Moglia Portland, Oregon
(1 - continua)
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