Cronache

Una genovese alla scoperta di sogno e realtà in Tolkien

Alessandro Massobrio

Questo di Elisa Caccavale, giovane innamorata genovese di J. R.R. Tolkien, è un libro che occorre prendere per la coda. E poi per la coda reggendolo, ripercorrere sino alla testa. Un libro curioso, quindi. Poco socievole, nonostante l'apparente scorrevolezza e linearità dello stile con cui la studiosa ha impostato la sua analisi.
Voglio dire che le cose più belle, più personali, le cose, insomma, che danno ad un saggio come questo la sua personalità, sono da ricercare nelle ultime pagine, quelle di commiato. Perché di un commiato dal sogno si tratta e, trattandosi di un bellissimo sogno, il commiato non può che essere struggente.
Scrive, infatti, l'autrice nella penultima pagina del suo lavoro: «L'opera di Tolkien, infatti, è come un sogno, che sembra reale per il coinvolgimento emotivo che comporta e per la precisione storica, geografica ed etnografica con la quale l'autore ha trattato tutti i particolari, ma che, allo stesso modo, risulta irraggiungibile, perché questo mondo sfugge, non appartiene mai al lettore che si sente attratto e respinto, più cerca di sapere e di capire, più si accorge che l'abisso da colmare è infinito…».
Insomma, una tensione inesauribile tra essere e dover essere, tra sogno e realtà, tra il mondo agognato ed il mondo vissuto. Una tensione difficilmente sostenibile soprattutto per chi, come Elisa Caccavale, di Tolkien si definisce lettrice «fondamentalista», vale a dire una lettrice capace di immergere tutta se stessa nella realtà del racconto. Anzi, nella sua presunta realtà, trasformandola in realtà viva e vera, sempre vicina e sempre lontana. Dotata di quell'assenza - presenza, che, per l'appunto, solo i sogni possiedono.
Tolkien è d'altronde scrittore a tal punto esaustivo nella sua invenzione, a tal punto capace - come egli stesso si definiva - di operare da subcreatore, grazie ad una inesauribile forza poietica, da suggerire espressamente una simile interpretazione. E che le cose stiano così lo dimostra proprio l'analisi attenta e competente che di questo universo ci fornisce Elisa Caccavale. Dai Racconti perduti a quelli Ritrovati, dal Silmarillion al Signore degli Anelli, l'autrice segue il suo aedo, lungo l'improbabile strada che conduce verso la luce ma anche nel cuore dell'ombra, lungo i sentieri dorati del bene ma anche nelle umide profondità di un antichissimo male.
Elfi e uomini, nani e hobbit, terre e mari, angeli e demoni e linguaggio degli angeli e linguaggio dei demoni, tutto in queste pagine viene distesamente considerato e spiegato come se davvero, invece che dinanzi ad un sogno, ci apprestassimo a varcare la soglia di una antichissima civiltà. Inghiottita come Atlantide nel ventre dell'oceano.
Elisa Caccavale ci conduce per mano lungo gli infinti meandri di questa scoperta. Il tono è limpido, la spiegazione esauriente e serena. Una sorta di classica misura regola il procedere e lo sgranarsi delle parole. Poco a poco, il mondo di sempre - con le sue imperfezioni, i suoi dolori, l'incalzare del tempo e l'approssimarsi della morte - si fa sempre più distante alle nostre spalle. E sempre più crudelmente ci tortura la gola quella seta, di cui parla Tolkien stesso. La sete che è il contrassegno della nostra stessa condizione d'uomini e che consiste nel cercare, senza mai incontrarla, nella assoluta, perfetta bellezza.
Che essa si chiami Dio l'autore de Il Signore degli Anelli ce lo suggerisce, senza rivelarcelo apertamente. E' comunque comprensibile che la sua assenza generi in noi quella struggente malinconia, che trasforma la nostra vita in un'attesa.
Elisa Caccavale, I sentieri di Ea, Firenze Atheneum, Firenze 2005, pag.

159, euro 13,00.

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