Gertrude Bell, la spia che venne dal caldo

Archeologa, arabista e agente segreto, nel 1911 in Siria conobbe Lawrence e fu poi con lui, dal ’14, all’Arab Bureau del Cairo

da Londra
Nella celebre carrellata di cammelli davanti alle Piramidi, foto ricordo della Conferenza del Cairo del 1921, la vediamo fra Churchill e Lawrence, disinvolta e sicura, un cappello elegante, una volpe sulle spalle. Gertrude Bell, archeologa, arabista, agente segreto, funzionario politico a Bagdad non fu meno appassionata di T.E. Lawrence nell’appoggiare la causa dell’indipendenza araba, e non meno delusa dalla politica britannica. Si erano incontrati per la prima volta nel 1911 in Siria, quando lavoravano agli scavi archeologici di Carchemish, ancora ignari del ruolo che avrebbero giocato nella spartizione della nuova Arabia.
Gertrude Bell (1869-1926), laurea in storia moderna a Oxford, aveva lasciato l’Inghilterra nel 1892, aveva fatto due volte il giro del mondo, in Iran aveva studiato il persiano, traducendo in versi inglesi il poeta libertino Hafez, a Gerusalemme aveva incominciato a studiare l’arabo. Trasferitasi in Siria, era immersa nello studio dell’archeologia e delle politiche tribali quando, allo scoppio della guerra nel 1914 e con l’entrata dell’impero ottomano dalla parte dei tedeschi in novembre, si trovò inviata come agente segreto assieme a Lawrence presso l’Arab Bureau del Cairo. Più vecchia di quasi vent’anni, ebbe per lui tenerezza quasi materna e molta stima, e dopo la sua morte a Bagdad, Lawrence avrebbe riconosciuto in lei una «persona meravigliosa, non sempre puntuale nel giudizio politico ma di forti e profonde emozioni».
Una nuova ampia biografia a cura di H.V.F. Winstone, Gertrude Bell (Barzan Publishing, Londra) ripercorre la vita della donna indomita che in qualità di Oriental Secretary a Bagdad aveva collaborato in modo cruciale alla stesura della Review of the civil administration of Mesopotamia che nel 1920 trasformava il mandato britannico in Irak in un trattato anglo-iracheno, e gettava le basi dell’Irak moderno. A differenza delle grandi viaggiatrici britanniche dell’Ottocento invaghite dell’Oriente, come Lady Anne Blunt e Lady Hester Stanhope, Gertrude Bell prese parte attiva alla vita della popolazione araba, ispirata da un’istintiva empatia. Rebecca West l’avrebbe descritta come «l’incarnazione dell’ereditiera emancipata, che impiegò l’oro acquisito dalla rivoluzione industriale non per una vita di privilegi ma di nobili azioni» e Wilfred Thesiger la definì l’unica «viaggiatrice seria», la cui altezza non fu emulata neppure dalla più nota Freya Stark.
La sua conoscenza del mondo arabo si rivelò cruciale per l’amministrazione britannica nell’area e dopo il Cairo fu inviata in Irak prima a Basrah e poi a Bagdad, dove divenne il braccio destro dell’alto commissario sir Percy Cox. Antisionista, si oppose con veemenza alla Dichiarazione Balfour, adoperandosi in mille modi per il riconoscimento dei diritti degli Arabi. Le sue lettere di protesta nel 1917 furono lette da Lloyd George in Parlamento in un ultimo tentativo di bloccare l’adozione del documento fatale. In Irak, nel Paese che aveva adottato con devozione materna, la chiamavano rispettosamente «Al Khatun», la dama, e più affettuosamente «Bint el sahara», figlia del deserto, e mentre guidava diplomaticamente ma fermamente il nuovo re, l’hashemita Faisal, nella formazione del primo governo della nuova Mesopotamia, lui senza tanti complimenti la considerava sua pari, «Enti iraqiyia, enti badawiya», le diceva, «sei un’irachena, una beduina».
Muovendosi con disinvoltura, senza mai compromettere la sua femminilità occidentale, per anni fu la sua più stretta consigliera politica. Amava l’Irak, ma non lo capì fino in fondo, come molti altri occidentali dopo di lei ne sottovalutò l’orgoglio nazionale, il senso patriottico e il potere della religione. Troppo indipendente per continuare ad essere usata da Londra, fu tagliata fuori dalla politica. Scelse di morire a Bagdad, dedicando gli ultimi anni alla fondazione del museo archeologico iracheno ora vandalizzato. È sepolta nel cimitero cristiano, la lapide fatta incidere da re Faisal esalta il suo ruolo nel Paese.

Sopravvivono i suoi libri, ancora attuali e in stampa, le sue circa duemila lettere al padre sulla politica del Medio Oriente, sedici volumi di diari e settemila fotografie scattate fra il 1900 e il 1928 dei siti archeologici, molti ora in rovina e in alcuni casi spariti.

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