Gheddafi si dà al cinema e scrive un film epico sull’occupazione italiana

Il Colonnello diventa sceneggiatore di «Dhulm», che narra la resistenza libica contro «i massacratori di Roma». «Ebrei e armeni parlano di genocidio, anche i libici vogliono la verità»

Quante vite avrà vissuto, il colonnello Gheddafi, prima di congedarsi definitivamente dal suo scatolone di sabbia? Trent’anni fa, agitando il suo Libro Verde, si proponeva come il Mao Tse Tung del Medio Oriente: una fetta di mondo che avrebbe risolto gran parte dei suoi problemi, garantiva il vecchio Muammar, se solo avesse abbracciato la sua Terza Teoria Universale: uno zibaldone di baggianate (ideologia, la chiamava lui) che avevano a che fare con motti e proverbi del suo mondo beduino.
Per anni, in Occidente, lo abbiamo accusato di essere uno dei grandi vecchi del terrorismo, e non ci siamo accorti che l’unica, vera, grande passione che lo ha sempre abitato era la voglia di palcoscenico. La sua guardia del corpo coniugata al femminile, la tenda nel deserto dove accogliere ospiti illustri e non; i cammelli che una volta si portò perfino a Bruxelles, mandandoli a pascolare ai giardinetti di fronte al Parlamento europeo. Dimenticate le voglie rivoluzionarie e i programmi palingenetici, i guai in cui si era cacciato ai tempi della strage di Lockerbie e quelli che gli erano derivati ancor prima dalle sue smanie nucleari, ecco infine il colonnello approdare a quella che forse era la sua più autentica vocazione: sceneggiatore, uomo di cinema. Un giorno, inshallah, magari anche attore, chissà. Col che avrà percorso, ma all’incontrario, la parabola di Ronald Reagan, l’ex presidente americano che veniva da Hollywood.
La notizia è che una serie di quadretti per così dire impressionistici (nei quali si evoca una specie di età dell’oro libica, paese arcadico, placido e tradizionale, prima che nel 1911 arrivassero i cattivi italiani) diventeranno il nucleo di un film da 40 milioni di dollari che si comincerà a girare l’anno prossimo fra Tripoli e Bengasi.
Film nel quale noi italiani (altra idea fissa del colonnello) facciamo la parte dei fetenti colonialisti.
Il titolo è già pronto. Dhulm, grideranno le locandine. Sottotitolo: Gli anni del tormento. Prepariamoci: perché fra campi di concentramento, bombardamenti aerei, attacchi col gas su popolazioni armate di coltellacci e zagaglie, ci faremo la figura dei nazisti, o dei cow boys contro gli indiani.
Ramzi Rassi, il produttore libanese del film, già va raccontando alla stampa anglosassone, che abbocca deliziata, come e qualmente noi italiani, quando levammo le tende dalla Libia, nel 1943, ci lasciammo dietro una terzo della popolazione decimata e un altro terzo costretta all’esilio. Un genocidio che merita di essere studiato nelle scuole di tutto il pianeta come quello degli armeni e degli ebrei, insiste Ramzi.
Nella sua sceneggiatura, Gheddafi dipinge a tinte pastello il mondo agropastorale di una Libia sopraffatta dalle coorti dei nuovi Romani sbarcati dal nord. «Tripoli... una striscia di bianchi caseggiati affacciata su un mare blu.. le onde che scintillano... e quei vasti orizzonti...». Insomma, roba così.
Dhulm (ingiustizia, in arabo) racconterà la storia dell’invasione vista con gli occhi degli invasi (ma anche attraverso quelli (per parere più obiettivi, immaginiamo) di un bislacco giornalista scozzese, tale Francis Mc Cullagh di Dungannon: una specie di avventuriero che nel 1911 sbarcò in Libia insieme con gli italiani e che dalla sua esperienza fra quelle sabbie trasse una specie di romanzetto. «Mc Cullagh - dice ora il produttore Ramzi - sarà uno dei protagonisti del film, uno dei testimoni oculari di ciò che realmente accadde».
Dhulm-L’Ingiustizia non è la prima incursione del colonnello Gheddafi nel mondo della celluloide (come si diceva una volta). Nel 1980 il suo regime bruciò 30 milioni di dollari per produrre Il Leone del deserto, storia del capo beduino Omar Mukhtar che divenne una leggenda della resistenza libica contro i malvagi italiani che alla fine lo impiccarono davanti a oltre 20mila dei suoi beduini. Per realizzare quel film il regime non aveva badato a spese, ingaggiando stelle di prima grandezza come Anthony Quinn, Oliver Reed e Rod Steiger (che faceva la parte di Mussolini). Ma nonostante quel po’ po’ di cast, il film affondò miseramente senza lasciare tracce di sé. Andrà meglio stavolta? Il produttore libanese della pellicola è pronto a scommetterci.

«Mi pare che i tempi, anche sotto il profilo politico - dice Ramzi Rassi, che ha arruolato come regista Najdat Anzour, la star dei film tv in Siria - siano ormai maturi. Al pari degli armeni e degli ebrei, anche i libici, e non solo Gheddafi, vogliono che il mondo sappia cosa accadde nel loro Paese».

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