Il giallo della bella barbona morta per una botta in testa

Silvie Marlene Koffi era la barbona che dormiva tra il colonnato di piazza XXIV Maggio. Un incanto di madre natura per gli abitanti della zona. Volto da dea africana scolpito sotto le colonne che erano il tempio delle sue notti senza stelle, capelli folti come una cascata di liane, abitoni colorati sui perenni jeans, la sua seconda pelle sulle gambe che la slanciavano fino a un metro e ottanta di bellezza struggente come il cielo dell’Africa d’oro. Ma «giallo» è il colore dei fatti tra cui lei è improvvisamente scomparsa.
Perenni tra le sue mani una bottiglia di birra dorata e il mozzicone di cicca. Forse non sempre di tabacco. Camminava traballando un po’ per l’acool, che era la sua riserva d’acqua giornaliera, e un po’ per un senso innato del teatro. Piena di vita, faceva gli scherzi a tutti, andava regolarmente alla messa del mercoledì nella parrocchia di San Gottardo, entrava alle sei del mattino nella pasticceria Cherubini sotto i portici a mangiare la briosche, a volte offerta da Maurizio e Rosy Bartoli, i padroni del locale, a volte da Paola, la poliziotta che insieme ad altri vigilava sulla sua vita in bilico come un birillo d’ebano colpito da chissà quale mira sbagliata, quella che non ti abbatte e nello stesso tempo non ti permette di ritrovare l’equilibrio. Ma alla fine Silvia è caduta sbattendo la testa.
A volte erano gli stessi avventori del bar a regalarle un dolce. Dimenticando che puzzava. Dimenticando che forse si drogava. Dimenticando che era un’extracomunitaria tra le fauci della miseria e che così voleva campare. Ma era una donna tanto baciata dalla luce che per la sua scomparsa Bruno Nunziati, cliente alla Cherubini, ha scritto una lettera al Giornale per chiedere: «Che fine ha fatto la nostra divina barbona? Indagate. Vogliamo la sua storia».
Silvia, come la chiamavano i milanesi, si è spenta il 6 dicembre 2010 nel reparto di Neurologia del Policlinico per una botta in testa. Un incidente? Il suo corpo è congelato all’obitorio, più freddo di tutti gli inverni che Silvia ha passato all’addiaccio in piazza XXIV Maggio; il corpo è in attesa d’essere trasportato in Costa D’Avorio dove la pantera d’Africa era nata, a Oume il 16 agosto del 1971. «Tanto era miracolosa nel suo fascino, tanto era ostinata nel continuare a danneggiarsi» racconta suor Bertine - anche lei della Costa d’Avorio - nella sacrestia della chiesa di San Gottardo. «Suor Elvira e la poliziotta Paola hanno cercato di convincerla ad andare in comunità per disintossicarsi dall’alcool. Sulla droga abbiamo sempre avuto un dubbio. Si rifiutava d’essere curata. Voleva esistere morendo, benché fosse una sorgente di vita inesauribile per tutti».
Dopo molte indagini, un anno fa suor Bertine rintraccia la sorella di Silvia, Clarissa, che fa la poliziotta nella capitale della Costa d’Avorio. Clarissa contatta un’amica, Cislaire Eve che vive a Perugia. Cislaire viene a Milano. Appena la vede, Silvia piange implorandola di riportarla a Oume ma l’amica le raccomanda di entrare in comunità. Risposta: no. Silvia ha un fidanzato, un barbone biondo sulla quarantina che però è sempre pulito. Il giorno che la sua donna scompare entra nella pasticceria Cherubini, ordina un bicchiere di latte e confessa ai proprietari: «E’ morta. E’ morta. Sono disperato anche se mi tradiva».
Al telefono Cislaire Eve ricorda: «Aveva dodici anni quando lasciò l’Africa per andare in Francia con il padre, un pilota della compagnia aerea nazionale. Lì abitano a casa di uno zio che tentò di violentarla. Lei torna a casa. Nel 1998 muore la madre. Silvia fugge per l’Italia. Da allora per più di dieci anni non abbiamo più saputo nulla, persino il padre è morto prima di riuscire ad avere sue notizie, finché l’anno scorso arriva a Clarissa la telefonata da Milano».
Non si trovano i soldi per rimandare la salma di Silvie Marlene Koffi in Africa. Aveva un permesso regolare, perché risulta che in Italia lavorasse. Nessuno sa quale lavoro abbia effettivamente avuto. Da un po’ di tempo si era allontanata da piazza XXIV Maggio e non si è mai saputo se avesse incontrato gente poco raccomandabile. Rimane un enigma la causa del suo colpo in testa, anche se chi la conosceva non dubita che sia stato un incidente. Prima di uscire, nella pasticceria Cherubini ci regalano un Bacio. Dentro il biglietto.

Frase di Diderot: «Per scrivere di una donna, bisogna intingere la penna nell’arcobaleno». Silvia era la barbona di piazza XXIV Maggio. Ma il tesoro d’oro che c’è al margine di ogni arcobaleno non ha voluto che rimanesse un’anonima donna senza colore. Perché aveva il colore del cielo-madre dell’Africa.

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