Giallo nel bed and breakfast: picchiata e legata con una cintura da kamikaze

RomaPer alcune ore ieri via Volturno, a due passi dalla stazione Termini, ha avuto l’aspetto di una strada di Beirut. Una cintura di quelle usate dai kamikaze negli attentati in Medio Oriente, fissata alla vita di una donna, ha tenuto l’intera zona con il fiato sospeso. E quando gli artificieri della squadra mobile hanno raggiunto l’obiettivo, si sono trovati davanti una scena inquietante. La donna, che in un primo momento sembrava morta, aveva il volto coperto di sangue e un led luminoso sulla cintura dava l’impressione di poter provocare un’esplosione da un momento all’altro. Tutto intorno, un panorama surreale, con le volanti che avevano completamente isolato la zona. Poi, per fortuna, l’allarme è rientrato.
La vicenda resta avvolta nel mistero, perché la donna inizialmente non ha voluto parlare con gli investigatori. La scoperta è stata fatta dopo le 10.30 dalla titolare del bed and breakfast Aelios, in via Volturno 7. La proprietaria da giorni non vedeva Silvana S., la quarantenne torinese che aveva preso in affitto una camera. Così è entrata nella stanza e si è trovata di fronte a un incubo. L’inquilina era a terra, vicino al letto. Si contorceva, con le mani e i piedi immobilizzati da laccetti di plastica. Sulla testa aveva la federa di un cuscino, sporca di sangue, e all’altezza dei fianchi la cintura, con fili elettrici colorati, un temporizzatore attivo, panetti avvolti nel cellophane e una pipe-bomb collegata. La donna ha dato l’allarme, sicura che comunque ci fosse poco da fare oramai per salvare la poveretta. Sul posto sono giunti uomini del 118 e artificieri della polizia. Subito è scattato il «protocollo elevato» e il palazzo prima, poi tutta la zona, sono stati evacuati per permettere le operazioni di soccorso. Poco prima l’affittacamere, invitata a togliere la federa per scoprire il volto della donna, non ne aveva avuto il coraggio. «Non la slego, è piena di “cosi”», aveva detto alla polizia. Così è toccato agli artificieri. Silvana S. aveva il viso completamente tumefatto e contusioni su tutto il corpo. Ma è rimasta fredda, permettendo agli esperti di sganciare la cintura di colore nero dal corpo. Poi è stata portata al Policlinico Umberto I per le prime cure, mentre gli artificieri iniziavano ad analizzare i led, i panetti e i fili elettrici. Tutto falso, ma fatto a regola d’arte per provocare allarme. «Chi ha fatto il congegno non era uno sprovveduto e sapeva come impressionare anche un artificiere - ha spiegato più tardi il dirigente della polizia Raffaele Clemente -. La cintura poteva essere scambiata per una bomba vera e infatti gli agenti hanno messo in atto un protocollo di sicurezza elevato». Nei laboratori della polizia l’involucro è stato esaminato con più attenzione: conteneva panetti che ricordano il Das usato dai bambini a scuola.
La vittima, che ha piccoli precedenti per truffa, appropriazione indebita e molestie, ieri pomeriggio è stata interrogata a lungo dagli uomini della squadra mobile, diretti da Vittorio Rizzi, e alla fine ha fatto il nome di un uomo e una donna, indicandoli come responsabili del pestaggio.

Ma da quanto tempo Silvana si trovava in quella stanza? Da quando era a Roma? E perché le hanno legato alla vita la cintura di finto esplosivo? Sono i nodi che dovranno sciogliere gli investigatori, anche se non ci sono dubbi che gli autori della messinscena volessero punire duramente la piemontese e, magari, attraverso quella cintura, lanciare un messaggio a qualcuno.

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