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Il giallo Province: "Non saranno cancellate ora"

Dopo l’annuncio del ministero dell’Economia, il premier cambia rotta: "Nel decreto non si parla della loro abolizione" Nessuna retromarcia: per sopprimere gli enti locali si lavorerà sulla Carta delle autonomie in commissione alla Camera

Il giallo Province: "Non saranno cancellate ora"

Roma - «Nel decreto non c’è nessun accenno alle Province», ha detto il presidente Berlusconi ieri a Parigi. L’annunciato taglio degli enti locali non troverà spazio nella manovra. D’altronde, ogni Finanziaria che si rispetti porta con sé un piccolo «giallo». Commi che spuntano come funghi e spariscono altrettanto rapidamente, fughe in avanti e retromarce. Ma l’impianto messo su da Giulio Tremonti per stabilizzare i conti pubblici è troppo importante per essere liquidato con amenità varie da Prima Repubblica.

L’intenzione di abolire le mini-Province, salutata con favore dall’opinione pubblica, probabilmente seguirà un percorso diverso. Nessun dietrofront, beninteso, ma la necessità di riflettere più attentamente su un programma di taglio dei costi ha portato a una modifica dell’iter, a una possibile traslazione dalla manovra alla Carta delle autonomie.

Svelare il «mistero», tuttavia, aiuta a comprendere la serietà della scelta. Bisogna ripartire da martedì sera quando le indiscrezioni provenienti dal Consiglio dei ministri annunciano lo stop alle Province al di sotto dei 220mila abitanti escluse quelle frontaliere e quelle delle Regioni a statuto speciale. Già l’individuazione è complessa perché da una parte i dati del censimento 2001 ne escludono tredici mentre gli ultimi resoconti Istat ne taglierebbero 9-10. Mercoledì pomeriggio la conferenza stampa del premier Berlusconi e del ministro Tremonti non ha accennato al provvedimento alimentando qualche sospetto. In tarda serata da via XX Settembre arriva la conferma anche a mezzo Internet: spariranno Biella, Vercelli (nonostante un chilometro di frontiera), Massa Carrara, Ascoli, Fermo, Rieti, Isernia, Matera, Crotone e Vibo Valentia.

Ieri mattina, tuttavia, i dubbi non erano del tutto fugati. Nonostante la bozza della manovra avesse stabilito che «sono soppresse le province la cui popolazione residente risulti, sulla base delle rilevazioni dell’Istat al primo gennaio 2009, inferiore a 220mila abitanti» e avesse assegnato a Palazzo Chigi quattro mesi per determinare le nuove circoscrizioni provinciali. Giuseppe Castiglione, il presidente dell’Unione delle Province, aveva sottolineato, dopo un colloquio telefonico con Berlusconi e con il sottosegretario Letta, che «il governo ha detto che la manovra non è il contesto nel quale affrontare la questione del riordino delle Province». Circostanza confermata dal coordinatore del Pdl, Ignazio La Russa: «C’è tempo anche per una riflessione».

Che cosa è successo, dunque? Da giovedì sera è partita una fitta serie di trattative tra i vertici del Pdl e il ministro dell’Economia su come evitare intoppi di natura costituzionale e, soprattutto, non dare l’impressione che fosse solo il Centro-Sud a rimetterci. «Non c’è né mai potrà esserci l’abolizione delle Province. Invece non è più rinviabile, la loro razionalizzazione», ha osservato Osvaldo Napoli, deputato Pdl e vicepresidente Anci. Con un ampio accordo trasversale in Parlamento si possono tagliare province inutili e riorganizzare le stesse Regioni.

Di qui la proposta di «spostare» l’argomento dalla manovra alla Carta delle Autonomie che si trova in commissione Affari costituzionali alla Camera, è seguita dal ministro Calderoli e potrebbe approdare in Aula insieme alla manovra. Con ampie convergenze tutto potrebbe cambiare: dalla «sopravvivenza» di Asti per 156 persone a quella di Belluno e Sondrio perché frontaliere per arrivare alle «nuove» Lodi, Prato, Monza e Bat.

Fino a «ripensare» Regioni che rimarrebbero con il solo capoluogo come Molise e Basilicata.

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