Giancarlo Nanni un Cechov un po’ sottotono

Giovanni Antonucci

Il teatro di Cechov presenta personaggi che vivono, come sottolinea Peter Szondi, «nel segno della rinuncia», la rinuncia alla felicità e alla possibilità di incontrarsi con altri esseri umani. Vivono, quindi, nella solitudine e nella rassegnazione, ma Cechov non è un autore intimista. Egli li rappresenta con una ironia che non esclude il male di vivere. L’edizione de Il giardino dei ciliegi, in scena al Teatro Vascello di Roma, punta su un’interpretazione ideologica e politica che è estranea al liberale Cechov. Per il regista, scenografo e costumista Giancarlo Nanni, l’ultimo testo cechoviano affronterebbe «un tema di grande attualità, quello dei nuovi ricchi la cui prepotenza distrugge la bellezza del mondo». Se fosse tutto qui Il giardino dei ciliegi non sarebbe uno dei capolavori assoluti della drammaturgia del Novecento. Una lettura di questo genere conduce lo spettacolo nel vicolo cieco del grottesco e della polemica. Ne soffrono così tutti i personaggi.

Liuba Andreevna, impersonata da Manuela Kustermann con una recitazione priva di ironia e insieme di malinconia, diventa una figura programmatica, simbolo dell’arte che cede di fronte alla nuova ricchezza. Anche gli altri interpreti scontano i limiti di una regia che non ci dà l’immagine della condizione umana. Come voleva l’autore.

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