Gianfranco Fini sogna un "autunno caldo" Ma lui è già... bollito

Il presidente della Camera batte un colpo e annuncia il suo imminente ritorno. Voleva essere il leader del rinnovamento, ma è diventato un "desaparecido"

Gianfranco Fini sogna  
un "autunno caldo"  
Ma lui è già... bollito

Accidenti, Fini progetta il ritorno. L’ha confidato alla Stampa e il titolo a tutta pagina fa un certo effetto: ritorno? Ma, come, non è appena partito? Un’avventura politica che compie un anno e già è costretta a annunciare il «ritorno» decreta da sé il suo fallimento. Vi pare? Dopo un anno di vita si annunciano i risultati ottenuti, le certezze consolidate, i punti fermi, magari una «seconda fase» o un «balzo in avanti». Fini, evidentemente, non ha nulla di tutto questo da poter raccontare. E così si aggrappa al «ritorno». Che è come dire: «Ehi ragazzi, guardate che a differenza di quel che sembra io sono vivo». Lecita speranza. Del resto, si sa, sono proprio gli zombie che a volte ritornano.

Ma ciò che ancora più colpisce nel retroscena giornalistico della Stampa, assai ispirato e documentato, è il linguaggio usato per annunciare questo ritorno: nelle ultime settimane Fini avrebbe avuto «contatti a 360 gradi» (360 gradi! Straordinario: significa che fa il girotondo e resta fermo allo stesso punto?) e, forte di queste relazioni annuncia che «sarà un autunno caldo». Perdindirindina. «Autunno caldo». Lo giuro che ha detto proprio così. Manca solo qualche riferimento alla polizia che brancola nel buio, alla necessità di aprire un dibattito e all’asfalto reso viscido dalla pioggia e poi il campionario dei luoghi comuni sarebbe completo. Sarà un autunno caldo, si capisce. Del resto si sa, che non ci sono più le mezze stagioni.

Ma Fini non era quello che si presentava come l’uomo del futuro? Non voleva incarnare il rinnovamento della politica, dei suoi riti e, di conseguenze, del suo linguaggio? Sic transit gloria Gianfranchis: il rinnovamento si schianta su un’estate da desaparecido, roba da chiamare il «Chi l’ha visto» di Montecitorio per trovare tracce di presenze finiane sulla scena dell’attualità. E quando, proprio nel giorno dell’esodo estivo, l’ex rampante rapidamente appassito decide di battere un colpo, in realtà gli viene fuori una cilecca da far preoccupare pure madamine Tulliani (se tanto mi dà tanto). «Preparo il ritorno, sarà un autunno caldo». Pofferbacchio, che progetto politico incisivo. E il documento programmatico per l’esplosivo ritorno di settembre come s’intitolerà? «Piove governo ladro»?

Per carità, è noto che a Gianfranco non è mai piaciuto faticare e lavorare. Ma se si impegnasse un po’ pure lui potrebbe fare di meglio. Non credete? La formula dell’autunno caldo la sentiamo ripetere ossessivamente almeno dal 1969. Da allora non c’è stato autunno che non sia stato per qualche ragione caldo. Così come non c’è stato redattore pigro e sfaccendato che non abbia fatto ricorso alla formula per comporre un titolo di giornale. A Ferragosto c’è l’esodo, a Natale c’è la corsa al regalo, Pasqua con chi vuoi, a novembre nebbia in Val Padana, e ad agosto si aspetta l’autunno caldo. E per rinfrescarsi niente di meglio che un bel bagnetto nel mare di Ansedonia, vero presidente?

La villa presa in affitto nella ridente località (guai a chi mi corregge: se l’autunno è caldo, le località sono ridenti. E magari con i bambini festanti), del resto, è l’unica cosa che accomuna quest’estate finiana con quella di un anno fa. Ricordate? Allora Gianfranco aveva appena rotto con Berlusconi e stava sugli scudi, viaggiava con il vento in poppa insieme con il manipolo dei suoi presunti eroi. Venne Mirabello, venne Bastia Umbra, le truppe del Fli parevano lanciate alla conquista dell’azzurra primavera, destinate a dilagare fra i rottami del berlusconismo.

E oggi? Com’è diversa la scena: sconfitto alla prova di forza di dicembre, massacrato alla prova elettorale in maggio, abbandonato anche dai suoi fedelissimi, rintanato nella ridotta di Bocchino, quattro gatti e tanta bile, l’ex leader di An è finito ai margini della vita politica. Quasi quasi uno fatica a ricordarsi della sua esistenza: Gianfranco chi? Funari? Ma non era morto?
Dicono che l’Elisabetto di Montecitorio sia sollevato perché «di dimissioni dalla presidenza della Camera non si parla più». E certo che non si parla di dimissioni: la presidenza della Camera non esiste più. È poco più di nulla, politicamente parlando. E al nulla si possono forse chiedere dimissioni? I pochi fedelissimi rimasti accanto a lui, però, per cercare di consolarlo e tirarlo su di morale vanno in giro dicendo che Gianfranco è «molto carico».

Naturalmente noi gli crediamo. Si capisce: molto carico.

Ma ecco, ci viene un dubbio: se un leader politico «molto carico» dopo settimane di silenzio se ne esce con la proposta di Maroni premier e si becca pesci in faccia da tutti; e se poi, dopo cinque giorni, torna a parlare per annunciare il suo «ritorno», ammettendo che in un anno è già riuscito nella difficile impresa di sparire; ebbene, se fa tutto ciò quando è «molto carico», quando non è carico che diavolo succede? Per la risposta attendiamo l’autunno. Che, caldo o non caldo, è comunque la stagione giusta per i bolliti.

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