Cronache

Gianmoena, l’uomo che scrive le leggi

A volte, bisogna saper vincere le elezioni. E i rivali di Giacomo Deferrari non sono stati in grado di farlo, come testimonia il suo trionfo nella corsa al rettorato: un elettore su due aventi diritto al voto (roba da plebisciti risorgimentali!) ha scelto Deferrari come guida per l’ateneo, nonostante una campagna aperta e velata contro di lui che non ha uguali nella storia dell’Università.
Come abbiamo spiegato ieri, il trionfo di Deferrari è assolutamente trasversale. Coinvolge tutte le facoltà e non ha un colore politico, fortunatamente nemmeno quello delle simpatie del neorettore. Soprattutto, è un trionfo che nelle nostre aspettative e credo in quelle della stragrande maggioranza dei suoi elettori non è «contro» qualcuno, ma «a favore» di un futuro per un’Università che rischiava di non avere futuro, specchio fedele della città.
Il problema è che alcuni dei rivali di Deferrari non solo non hanno saputo di vincere, ma rischiano di non saper nemmeno perdere. I Rokes e la loro canzone, non c’entrano. Ma la musica è proprio quella: uno spartito ripetitivo e noioso che fa balenare l’ipotesi di ricorsi e controricorsi per invalidare l’esito delle elezioni. Ricorsi che sarebbero la morte definitiva di un ateneo agonizzante.
Vi risparmio le varie trafile tecniche, ci vorrebbe una carrettata di Alka Seltzer, ma tutto è legato all’impossibilità di candidarsi per il rettore uscente Gaetano Bignardi, in base a una norma legislativa che un giorno, chissà quando, chissà come, potrebbe essere ritenuta illegittima.
Io credo che la migliore risposta a questa ipotesi di ricorsi sia stato l’esito del voto uscito dalle urne, che non lascia spazio a dubbi. Ed è stato così massiccio anche per rispondere alle campagne tese a trasformare l’Università in una succursale del Tar o della Corte Costituzionale.
Ora, se si hanno davvero a cuore le sorti dell’ateneo, credo che tutti - a partire da Bignardi, persona capace - dovrebbero dichiarare pubblicamente di lasciar perdere i cavilli e di pensare a rilanciare, tutti insieme, via Balbi. Altrimenti, l’impressione, netta, sarà quella che nun ce vonno sta.
Oggi, per curare un’università così malata, non serve il bilancino del farmacista.

Serve il bisturi del medico.

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