da Roma
«Ho accettato dinterpretare questo personaggio per i giovani. Per far conoscere loro la nostra storia più recente. E far capire a tutti che gli eroi esistono davvero». Una nota dinconsueta emozione suonava nelle parole con cui, laltra sera davanti alla platea del RomaFictionFest, Giancarlo Giannini ha presentato Il generale Dalla Chiesa: la miniserie targata Mediaset che è una delle più attese della prossima stagione, e che, in un festival finora non proprio affollato, ha richiamato in sala un pubblico finalmente numeroso e commosso. «Ho girato questo film con molto amore - ha proseguito Giannini -. E cercando di superare il timore che mi coglie ogni volta che devo dar corpo ad un personaggio realmente esistito. Perché gli eroi sono persone normali ma, al tempo stesso, straordinarie».
Ebbene: non cè dubbio che punto di forza del Generale Dalla Chiesa diretto da Giorgio Capitani, sia proprio il suo straordinario interprete. Fisicamente fuori ruolo, ma dotato di tutto il carisma necessario, Giannini traccia a forza di trattenuti mezzi toni il ritratto di un uomo solido, riservato, dalle convinzioni radicate, eppure dotato duna dolcezza tanto pacata e nascosta da muovere a simpatia. Attorno alla figura centrale, però, non tutto funziona allo stesso modo. La regia parte con incalzante asciuttezza, narrando i primi successi del generale nella lotta contro le Brigate Rosse, allepoca del sequestro Sossi: il ritmo è buono e lalternanza della vita pubblica del generale con quella privata (da una parte la sofferta costruzione del Nucleo Antiterrorismo; dallaltra la pace domestica accanto alla moglie Dora, la dolce Stefania Sandrelli) è reso con appassionato equilibrio. Convince in particolare il rapporto tra il generale e i figli, Rita e Nando: lattuale notorietà dei due (che hanno collaborato alla sceneggiatura) non stride con la loro rappresentazione cinematografica.
Ma è nella seconda parte che la fiction comincia a perdere colpi. Se lamore dellanziano ufficiale per la giovanissima Emanuela Setti Carraro (destinata a perire con lui nellagguato finale) è tracciato con delicatezza, prima lestromissione di Dalla Chiesa dalle indagini sul rapimento Moro, e quindi la sua solitudine quale prefetto di Palermo in guerra con la mafia, risentono di lacunose omissioni di sceneggiatura: terroristi e mafiosi non sono mai chiamati coi loro nomi, molti passaggi nelle indagini vengono saltati o dati per scontati.
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