da Roma
Rita Dalla Chiesa è una donna emotiva. Lo si intuisce dalla vivacità sentimentale che mette in ogni cosa; perfino nelle liti condominiali di Forum. Figuriamoci il coinvolgimento che deve aver suscitato in lei il progetto Mediaset di girare una fiction su suo padre. Senza dire il turbamento - ora che Il generale Dalla Chiesa è andato in onda: stasera su Canale 5 l'ultima puntata - di rivivere la sua storia. Ma interpretata da altri. «Una volta finito il film ho voluto vederlo da sola, a casa mia - racconta, emozionatissima -. E confesso di essermi allontanata dal video due volte: alla morte di mia madre e a quella di papà. Momenti che non riesco a rivivere più. Nemmeno nella finzione».
Ma come le hanno parlato di questa fiction? Ha dato subito la sua approvazione?
«È stato Paolo Bassetti, della produzione Endemol, a venire a casa mia. Gli ho risposto subito che non potevo decidere da sola: che dovevo prima sentire i miei fratelli, Nando e Simona. E insieme abbiamo posto due condizioni. Prima: che si raccontasse specialmente la vittoria di mio padre carabiniere contro le Brigate rosse, generalmente trascurata a favore della sua lotta da prefetto contro la mafia. Seconda: che si parlasse soprattutto di mia madre. È stata infatti lei, Dora, la donna che ha passato tutta una vita accanto al generale Dalla Chiesa. Lei, che per quararant'anni ha condiviso tutto con lui. Poi il destino ha deciso diversamente. E accanto a papà è morta Emanuela Setti Carraro. Ma non è giusto che mia madre sia dimenticata».
A lei e i suoi fratelli è stato chiesto di collaborare? Che suggerimenti avete dato?
«Gli sceneggiatori sono stati meravigliosi. Abbiamo avuto lunghe conversazioni; ogni volta che avevano dubbi o volevano precisazioni, ci interpellavano. La scelta degli interpreti è stata fatta dal regista Giorgio Capitani, naturalmente in piena autonomia. Ma ci siamo sentiti onorati che abbia proposto come protagonisti Giancarlo Giannini e Stefania Sandrelli. Quanto a Milena Mancini, che interpreta Rita Dalla Chiesa, l'ho incontrata sul set il giorno del primo ciak. Mi ha chiesto: "Ha qualche suggerimento da darmi?". Le ho risposto: "Faccia capire quanto amavo mio padre"».
E una volta che il film è finito? Che effetto fa rivivere indirettamente ciò che si è vissuto davvero?
«Mi sono chiesta sbalordita: ma davvero abbiamo attraversato tutti quei drammi? Abbiamo corso tutti quei pericoli, patito tutto quel dolore? E come siamo riusciti, alla fine, a rimanere lo stesso in piedi? Forse rivedere la propria vita in un film aiuta a comprendere meglio come la si è vissuta».
Le dinamiche familiari sembrano analizzate con particolare cura.
«È vero. Ed è anche il motivo per cui molti mi hanno confidato: il rapporto fra genitori e figli nella vostra famiglia, ricorda molto quello nella mia. Il fatto è che, anche nei momenti di tensione, noi abbiamo cercato di capirci l'un l'altro. Non è un mistero, ad esempio, che fra papà e Nando ci fossero opinioni politiche in contrasto. Ma l'amore che li legava li spingeva a cercarsi, comunque».
L'anteprima ufficiale del film ha riscosso una particolare eco.
«Sono stata felice che abbiano intitolato la caserma dei carabinieri al nome di papà. Quella caserma era stata comandata da mio nonno, poi da mio padre. Lì ho vissuto molta della mia vita, lì mi sono sposata. Io non mi sono mai allontanata dall'Arma. È cresciuta con me».
E gli interpreti? Qualche perplessità?
«La storia del generale Dalla Chiesa è stata raccontata con rispetto, ammirazione. Di questo sono grata a Mediaset. Giannini è un grande. Credo abbia dentro di sé alcune cose che erano anche di papà: il senso della giustizia, delle istituzioni. E della paternità: anche Giannini ha sofferto come padre. La Sandrelli è stata bravissima nel rendere la dolcezza di mia madre; ma appare forse un po' troppo fragile rispetto alla vera Dora. Che non una volta, neppure una, ha mostrato paura per i pericoli che correvano il marito e i figli. La paura l'ha sempre tenuta per sé.
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